RIFORME

Province rimandate a settembre.
Da trovare un miliardo (all'anno)

La discussione del testo slitta a dopo la pausa estiva. Il Governo non ha ancora espresso il parere sugli emendamenti. Giorgis (Pd): "Segno di evidente difficoltà". Risorse necessarie per le nuove competenze. L'election day del 2024 non è del tutto escluso

Per la riforma delle Province è più facile trovare l’accordo tra maggioranza e opposizioni che non il miliardo indispensabile ogni anno al funzionamento gli enti territoriali, archiviando finalmente la nefasta legge Delrio. Se non è tutta una questione di risorse all’origine delle difficoltà attestate dai rallentamenti del lavori in commissione Affari Costituzionali del Senato e il rinvio dei lavori al prossimo 4 settembre, poco ci manca. Una sostanziale convergenza sulla bozza di testo, tra il centrodestra e il Partito democratico (i Cinquestelle si sono detti contrari fin dall’inizio), potrebbe condurre piuttosto agevolmente al varo della riforma in tempo per chiamare i cittadini al voto per gli organi provinciali nella stessa data delle europee e delle amministrative, così come delle regionali nel caso del Piemonte e di altre amministrazioni in scadenza il prossimo anno.

Prima, però, va risolta la questione della copertura finanziaria per le numerose competenze che le Province sono destinate in parte a riottenere dopo la finta abolizione prevista dalla legge che porta il nome dell’ex ministro dem Graziano Delrio, in parte attribuite ex novo trasferendole soprattutto dalle Regioni. Questione pregiudiziale per il Pd: “Un’eventuale riorganizzazione delle Province deve essere accompagnata e giustificata dall’attribuzione di nuove funzioni per rispondere alla domanda di servizi dei cittadini e alle esigenze legate alla loro gestione da parte delle amministrazioni locali più piccole”, aveva avvertito nel corso dei lavori in commissione il senatore torinese Andrea Giorgis.  

“È indispensabile la garanzia del Governo circa la copertura degli oneri finanziari, senza di quella non ci può essere né trasferimento delle materie, tantomeno un’elezione che darebbe organi a un ente impossibilitato a governare”, aggiunge oggi Giorgis non senza rimarcare un aspetto dell’iter che a detta del Pd “mostra le difficoltà del governo che ancora non si è espresso sui nostri emendamenti”.

Dietro lo spostamento a dopo la pausa estiva del pronunciamento sulle proposte di modifica avanzate dall’opposizione, quest’ultima vede proprio la difficoltà a trovare e mettere nero su bianco quel miliardo da assicurare strutturalmente e quindi ogni anno, necessario a far funzionare le resuscitate Province. Non sarebbero, infatti, molte le istanze di modifica al testo che reintroduce l’elezione diretta, quindi da parte dei cittadini e non più col voto ponderato dei Comuni, del presidente e dei consiglieri (con un massimo di due voti di preferenza, rispettano la parità di genere), così come la ripartizione del territorio in collegi il cui numero varia a tre a otto in base alla popolazione.

Leggi qui il testo in discussione

Un punto di attrito probabilmente persisterà nella soglia per evitare il ballottaggio indicata nel 40%, mentre dal centrosinistra si punta a mantenere la quota oggi in vigore nei Comuni del 50, intravvedendo nella ricerca di evitare il secondo turno la consapevolezza del centrodestra di riportare al voto dopo sue settimane i propri elettori. Questioni che da ambienti del Pd si fa notare come possano essere superabili, mentre il fronte dem resta irremovibile sul tema della copertura finanziaria. Governo, rappresentato nell’iter in commissione dal sottosegretario all’Interno Wanda Ferro), e maggioranza sono attesi dunque alla ripresa dei lavori, il 4 settembre quando dovrà concludersi la discussione generale sugli emendamenti, ma soprattutto dovrà arrivare la risposta sulle risorse finanziarie. E se la risposta sarà quella attesa dall’opposizione è lo stesso Pd a riconoscere che “si fa in fretta a accelerare, potendo arrivare in tempo per l’election day”.  

print_icon