SANITÀ

Mobilità sanitaria vale 4 miliardi. Ma il Piemonte perde 8 milioni 

Superata l'emergenza Covid, sono ripresi i flussi dei pazienti. La Lombardia incassa mezzo miliardo, parecchi milioni anche in Veneto, Emilia-Romagna e Toscana. Il peso dei limiti ai privati e un'edilizia sanitaria al palo, così è ai livelli delle regioni del Sud

C’è un pezzo di Sud nella sanità del Nord. È quella parte che continua a vedere i suoi pazienti costretti a curarsi altrove, proprio come capita in tutto il meridione del Paese. E in quel Nord che continua ad avere un saldo negativo della mobilità sanitaria dove le terapie prestate a chi viene da altre regioni restano molto al di sotto rispetto a quelle per cui i residenti si rivolgono oltre i confini, è compreso ancora una volta il Piemonte

I dati più recenti disponibili riferiti allo scorso anno, confermano una decisa ripresa della mobilità dopo il lungo periodo in cui la pandemia aveva ridotto al minimo, se non in molti casi annullato, gli spostamenti da una regione all’altra per cure, diagnosi, interventi e molte altre prestazioni sanitarie. Quello che con un termine un po’ stridente viene definito giro d’affari è tornato si livelli pre-Covid del 2019 con una cifra che supera i 4,3 miliardi di euro. Un ritorno al passato, pur recente, che non solo conferma la ripresa dell’esodo di pazienti dal Sud verso il Nord, ma attesta anche come a dispetto di programmi e proclami resti invariato il peso che grava sulle casse di quelle regioni che non riescono ad attrarre pazienti da fuori, tantomeno frenare l’esodo dei suoi residenti.

QUI LA TABELLA DEI FLUSSI

I numeri sono eclatanti, in un senso come nell’altro. Se il record negativo, ovvero il salo negativo, lo detiene la Campania con un passivo di 277 milioni, quello positivo ancora una volta è appannaggio della Lombardia che, aumentano la sua attrattività, segna un attivo di 550 milioni. L’offerta nell’alta specializzazione data, soprattutto, dalle strutture private accreditate così come per gli interventi d’elezione sono da molto tempo alla base dei flussi, in gran parte proprio dal Sud, ma anche da altre regioni settentrionali, verso la sanità lombarda. Un aspetto, quello dato dalla forte presenza del privato, che non vale o vale assai meno per altre regioni che, tuttavia, pongono anch’esse il segno positivo davanti al saldo. Dietro alla Lombardia con 407 milioni c’è, infatti, l’Emilia-Romagna e, pur con cifre meno importanti ma sempre di rilievo il Veneto che chiude con un attivo di 176 milioni. Proprio la regione di Luca Zaia, per numero di abitanti, ma anche per colore politico di governo, è la più teoricamente assimilabile al Piemonte, che però davanti al saldo continua ad avere il segno meno e la cifra non cala restando a 8 milioni, tanto quanto l’assai più piccola e geograficamente marginale Friuli-Venezia Giulia.

Se non tanto la Toscana vede prevalere la mobilità attiva con un saldo di 63 milioni, ma il piccolo Molisemette il segno positivo davanti a 30 milioni, la situazione piemontese appare se possibile ancor più grave. E poco consola che la confinante Liguria accusi un esborso di 94 milioni. L’essere fuori dalle sette regioni virtuose, tanto più esserlo come la sola tra le grandi del Nord, pone il Piemonte in una situazione dalla quale neppure la lezione della lunga emergenza Covid e i ripetuti annunci sono riusciti a smuovere. Certo, se si guarda a una decina d’anni fa, il saldo negativo il Piemonte lo ha ridotto, ma non può essere quello il parametro per non assumere decisioni veramente efficaci per contrastare i flussi in uscita e, nel contempo, far aumentare quelli in ingresso. Le conseguenze dei tagli dei posti letto e dei reparti durante gli anni in cui la sanità piemontese è stata sottoposta al piano di rientro hanno prodotto e continuano a produrre effetti negativi. Ma non va neppure tralasciato il peso di misure come quelle che limitano le strutture private, soprattutto sulle prestazioni di media e bassa intensità, che unita alla vicinanza della Lombardia favoriscono le migrazioni di pazienti. Non di meno hanno effetti pesanti i tempi d’attesa rispetto ai quali l’offerta lombarda risulta ancor più appetibile, oltre che abbastanza comoda in quanto a distanze e collegamenti.

E mentre sembrano spariti ai radar gli accordi di confine, tra Regioni, per stabilire i flussi delle mobilità e ridurre per quanto possibile le enormi disparità che tuttora ci sono. La Lombardia lo ha sottoscritto con l’Emilia-Romagna, ma, almeno fino a qualche tempo fa, non col Piemonte. Perché? La nuova direzione regionale della sanità, forse avrà ripreso quel dossier che pareva essere stato accantonato. E, non da ultimo, pur con eccellenze cliniche riconosciute, non è facile risultare attrattiva a una sanità che nella stragrande maggioranza dei casi poggia su un’edilizia sanitaria a dir poco datata. Se un giorno crolla un soffitto e l’altro si rompe una vecchia tubatura, è a dir poco un’impresa impossibile attrarre pazienti al di fuori della regione, mentre i residenti devono aspettare settimane o, spesso, mesi per una prestazione.

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