Una sveglia alla maggioranza dormiente

La difficoltà che attraversano i militanti della sinistra (tra cui anche lo scrivente) si palesa pure tramite la crisi dei quotidiani di riferimento. Giornali accomunati da un drammatico destino, come ad esempio quello di finire nelle mani del primo imprenditore disponibile, oppure diretti da giornalisti abili nel cambiare casacca a seconda di dove tiri il vento. Nelle edicole, quelle poche ancora aperte, rimane un solo baluardo della gauche post sessantottina: una testata che ancora si fregia del termine “quotidiano comunista”, seppur dai toni antagonisti piuttosto sbiaditi e pronta a strizzare l’occhio, di tanto in tanto, a quel che rimane della sinistra Pd.

La sua tiratura non è elevatissima (al contrario di un tempo) e spesso, negli anni, ha dovuto ricorrere alla sottoscrizione dei propri lettori per non chiudere. In questi giorni, il “quotidiano comunista” ha avviato una campagna pubblicitaria in cui purtroppo non viene riesumato lo slogan ottimista degli anni ‘90 (“La rivoluzione non russa”), ma che si affida timidamente a una generica rivendicazione della tenuta sul territorio della galassia marxista italiana: profilo decisamente più basso rispetto al passato.

Da qualche anno non mi annovero più tra i sostenitori di quel quotidiano, poiché troppo spesso l’ho considerato traballante nelle scelte, nonché a tratti sostenitore del governo Draghi, eppure soffro interiormente ogni qualvolta misuro la distanza dei suoi editoriali dalla realtà del vissuto quotidiano. Affermare infatti, come è stato fatto in questa campagna di marketing, che la sinistra (soprattutto quella istituzionale) sia presente sui territori è davvero la conferma dell’immenso baratro che separa chi scrive dalla società odierna. Nelle periferie urbane, come sulle battaglie ambientali o del lavoro, non si vedono all’opera organizzazioni partitiche d’avanguardia popolare, ma singoli militanti che da soli provano ad arginare la devastante avanzata dell’onda nera reazionaria.

Nelle zone marginali delle città, tra cui la stessa Torino, è diffuso il malcontento dovuto a un perenne senso di abbandono da parte di chi amministra. Al contempo, in esse si riscontra una forte esigenza di riscatto individuale, non collettivo, che si realizza prevalentemente tramite il possesso di beni di lusso. La notte di guerriglia che ha infiammato il capoluogo piemontese il 26 ottobre 2020 ha lasciato il ricordo delle tante vetrine sfondate con lo scopo di portar via capi di abbigliamento griffati, e non certo quello di rivendicazioni sociali gridate a pugno chiuso.

Le uniche organizzazioni partitiche presenti sulle strade di periferia sono quelle di estrema destra, sempre pronte a cavalcare la rabbia generata da sentimenti di intolleranza e di esclusione. Ancora una volta, tocca ai singoli contrapporsi alla loro egemonia culturale: persone sostenute dai propri ideali mentre tentano faticosamente di contenere l’espansione del neofascismo (subendo minacce e senza nessuno che protegga loro le spalle).

Laddove la sinistra arriva ad amministrare, o in parlamento, sembra si dedichi esclusivamente all’autoboicottaggio, come dimostrano sia la candidatura dell’eccentrico “sindacalista” Soumahoro che l’approccio marcatamente antipopolare della giunta comunale di Torino. Eppure l’attuale situazione sociale dovrebbe fornire un terreno fertile per qualsiasi forza politica che si richiami ai valori gramsciani. La stessa drammatica strage di lavoratori a Brandizzo avrebbe dovuto scatenare letteralmente le piazze, ma evidentemente la confusione è tanta sotto questo cielo.

Confusione che porta la sinistra istituzionale a sostenere le scelte politiche più distanti dalla tradizione socialcomunista, oppure a votare alla Presidenza della Commissione Europea la democristiana tedesca Ursula von der Leyen: premier che ha avviato una sorta di deriva presidenzialista dell’istituzione di Bruxelles.  Deriva autoritaria perseguita da una leader troppo simile (dal punto di vista ideologico) alla Thatcher, e per nulla fedele alle teorie sociali che propagandava prima dell’assegnazione del prestigioso incarico (non affidato grazie al voto dei cittadini europei).

Un’attenzione al sociale utile solo per incassare anche i voti favorevoli del M5s, e smentita dalle pessime condizioni di vita in cui sono state gettate tutte quelle famiglie che prima della guerra sopravvivevano a mala pena. L’ex ministra di Berlino ha attuato una politica aggressiva che le garantisce un protagonismo prima inedito nello scenario europeo, dove i temi alla base del suo agire sono quelli del rafforzamento economico e geopolitico dell’Alleanza Atlantica e, in particolare, degli Stati Uniti di Biden. Il pugno duro della Ursula von der Leyen viene regolarmente calato sulla testa dei cittadini comunitari e non solo. Da qualche giorno, infatti, la presidente ha preso di mira i lupi, che ritiene troppo protetti, e una pioggia di piombo cadrà quindi pure sopra le loro teste.

L’epoca dell’intelligenza artificiale, che fa a meno degli scrittori e degli sceneggiatori, ha vinto su quella della fabbrica. La speculazione domina ogni aspetto dell’esistenza umana e le privatizzazioni selvagge tra non molto sopprimeranno anche la sanità pubblica. Gramsci insegnava un dovere fondamentale per qualsiasi comunista: conoscere la realtà e non chiudere gli occhi davanti ad essa.

La sveglia suona ininterrottamente da alcuni decenni, forse è tempo di aprire gli occhi e guardarsi intorno: unica speranza per la nascita di una nuova, forte, sinistra che sappia davvero opporsi al dominio dei pochissimi sulla moltitudine dei tanti.

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