Vizi pubblici, virtù private

Alcuni anni fa, la presidente di una grande federazione sportiva mi apostrofò, definendomi un “fascista”. L’epiteto, decisamente oltraggioso, mi venne indirizzato dopo il diniego che pronunciai in merito alla privatizzazione dell’ultimo impianto natatorio a gestione diretta della Circoscrizione. La piscina, ancora oggi tra le più belle ed efficienti del territorio, è costantemente oggetto di attenzione da parte di una miriade di realtà che sperano di poterne ottenere l’affidamento tramite atto concessorio.

Mi opposi a quella richiesta poiché valutai che conservarne l’utilizzo pubblico significasse garantire l’ingresso in acqua a chiunque: soprattutto ai giovani che non avevano la possibilità di iscriversi in palestre o piscine private. Quindi, in un contesto dove la privatizzazione ha colpito duro lasciando alla collettività quasi nulla, difendere l’uso comunitario di un bene pubblico significa, per chi ha interessi contrari, essere “fascisti”: un assioma davvero bizzarro.

In quell’invettiva però si svelava, a miei occhi, un enorme cambiamento sociale in atto, che al momento non avevo messo perfettamente a fuoco: anche tra coloro che non appartenevano alla destra iperliberista, ma che al contrario si richiamavano a valori sociali della sinistra, vi era chi sosteneva (per motivazioni chiaramente opportunistiche) che “privato è bello”. In effetti, negli ultimi anni le dismissioni di beni immobili e dei servizi da parte degli enti pubblici è andato in crescendo, e il metodo per cedere la gestione di un settore del Comune agli imprenditori è oramai collaudato, grazie a un lungo percorso d’uso. Inizialmente, infatti, occorre far crollare la credibilità della gestione pubblica, affondandola dolosamente nel malfunzionamento continuo, e immediatamente dopo invocare l’arrivo del privato per ottenere un miglioramento della situazione.

I concessionari in seguito alle privatizzazioni accumulano profitti, mentre al contempo viene registrato un peggioramento della qualità della vita dei cittadini, i quali devono pagare per fare due bracciate in acqua, anche se per fini terapeutici, oppure mettere mano al portafogli per eseguire qualche analisi urgente. Una beffa vera e propria riguarda il mancato rispetto, da parte di molto affidatari, dei termini imposti dalle concessioni, in primis quelli che impegnano a garantire, in alcune fasce orarie, l’accesso gratuito agli impianti assegnati. Un vincolo sociale che cade regolarmente nell’oblio generale, mentre l’ente pubblico paga comunque l’80% delle utenze intestate ai gestori stessi (gas e luce, incluso il riscaldamento dell’acqua degli impianti natatori).

Molti imprenditori lavorano con professionalità e passione, ma anche nei casi di gestione virtuosa del patrimonio privatizzato l’obiettivo rimane sempre quello di ottimizzare gli introiti: una inevitabile ricerca di entrate che interessa i servizi socio sanitari convenzionati, così come le discipline sportive più diffuse.

Da tempo è stato avviato un processo irrefrenabile di indebolimento del Pubblico, oramai ridotto a compiti elementari che non richiedono particolare coraggio, e neppure impegnative assunzioni di responsabilità. Le consulenze fornite da agenzie specializzate consentono perfino di esternalizzare le decisioni politiche in capo a sindaci e giunte. È sufficiente affidare i dossier a società specializzate per delegare qualsiasi competenza istituzionale. Il parere “autorevole” di un gruppo di esperti obbliga i consiglieri, di maggioranza come di minoranza, ad adeguarsi per evitare brutte figure davanti a competenze spacciate come infallibili (e ben retribuite): un’abdicazione dei ruoli politici e amministrativi che disonora la Costituzione repubblicana.  

Le riunioni che la giunta di Torino sta organizzando nelle Circoscrizioni, per avviare in confronto pubblico sul costruendo Piano Regolatore Generale, hanno radici americane. Tra hostess, catering, dépliant patinati, questionari e slogan si ha la presunzione di ascoltare in un fine settimana quartieri con oltre centomila abitanti. Un percorso di partecipazione funzionale solamente all’immagine di chi la propone: metodo che consente all’Assessore di spuntare con una “V” il lungo elenco delle cose da fare per poter definire tale processo “condiviso con la popolazione”.

La Fondazione Bloomberg è sensibile alle richieste di aiuto provenienti dalle amministrazioni che governano i territori del nostro Belpaese. Una vicinanza empatica che ha spinto la Fondazione ad arruolare il nostro primo cittadino per ricordargli anche come si elabora lo strumento urbanistico.

Il redigendo Piano Regolatore si prospetta quindi “traumatico” per i torinesi, poiché scritto sotto la dettatura dei potenti gruppi finanziari newyorchesi. Nel Nord America è abitudine dividere le città in due: da una parte quella che ha subito la gentrificazione poiché destinata ai ricchi, che non sanno più come spendere i propri soldi, e dall’altra la metropoli abbandonata al suo destino: riservata a persone che lavorano per poter pagare (faticosamente) le bollette e fare la spesa.

Attualmente, il rapporto tra pubblico e privato non è assolutamente incentrato sul principio della sussidiarietà orizzontale, ma sullo svuotamento delle funzioni pubbliche. Le istituzioni non sono attualmente in grado di progettare sul lungo periodo, portando di conseguenza benefici alle imprese (pronte a loro volta pronte a sostenere lo Stato), ma subiscono scelte valutate altrove. il Pubblico mette piccole toppe qui e là, mentre il privato in genere specula tutto dove può, e senza che nessuno glielo impedisca.

La Repubblica non è fondata sul lavoro, ma sul rapporto di sfruttamento che lega molti “grandi” imprenditori allo Stato: con buona pace dei cittadini fragili e di chi ancora è convinto di vivere in una democrazia.

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