VERSO IL 2024

Piemonte rischia Euro 0

Siamo alle solite. Nella formazione delle liste per le europee è la Lombardia a fare la parte del leone, più o meno in tutti i partiti. Beghin (M5s) a fine corsa, poche chance per i leghisti Panza e Gancia. In FdI Barbero Invernizzi in rampa di lancio

Scongiurato, almeno per il prossimo anno, il blocco degli Euro 5, il Piemonte potrebbe trovarsi con un decisamente meno salutare Euro 0. Nel senso dei rappresentanti nel parlamento di Strasburgo. Pochi gli uscenti, ancora meno rischiano di essere i rientranti. Basti pensare, tanto per fare alcuni esempi, che l’ossolano Alessandro Panza e la cuneese Gianna Gancia osservano ormai da mesi crollare le proprie quotazioni al borsino della Lega, mentre la pentastellata Tiziana Beghin, da Alessandria, non potrà più ricandidarsi avendo già portato a compimento due mandati. Per questo il Piemonte potrebbe ritrovarsi con un pugno di mosche in mano all’indomani delle elezioni europee del 9 giugno.

Il collegio del Nord-Ovest è quello che comprende anche Lombardia, Liguria e Valle d’Aosta e proprio i lombardi si preparano a fare la parte del leone. A partire dalla Lega dove viene data per certa la rielezione di Silvia Sardone e quella di Isabella Tovaglieri. Il più forte, almeno sulla carta, è Angelo Ciocca, di Pavia, che cinque anni fa aveva sfiorato le 90mila preferenze, piazzandosi secondo alle spalle di Matteo Salvini. Attorno a lui, però, tira una brutta aria dopo essere stato l’animatore del Comitato Nord, che teneva insieme i nostalgici di un Carroccio che non c’è più, quello di Umberto Bossi e del Federalismo (se non addirittura della secessione). Questi sono i favoriti di un partito che verosimilmente vedrà decurtati i voti presi cinque anni fa a un terzo e che quindi nel Nord-Ovest potrebbe calare i suoi eletti da nove a tre.

Una erosione che potrebbe premiare Fratelli d’Italia che punta a portare a Strasburgo almeno cinque rappresentanti tra Lombardia, Piemonte e Liguria. Qui tuttavia le strategie romane appaiono ancora in alto mare: Giorgia Meloni deciderà di candidarsi capolista in tutti i collegi? Difficile. Metterà i suoi ministri più rappresentativi a trainare il partito? Chiederà un sacrificio ai parlamentari? Non si sa. In Lombardia è considerata pressoché certa la ricandidatura di Carlo Fidanza, che ha superato con il patteggiamento i suoi guai giudiziari così da non dover fare campagna elettorale con la spada di Damocle di un processo a carico. Si ripresenta anche l’imprenditore Pietro Fiocchi, l’altro lombardo uscente, che dalla sua ha il mondo della caccia: “Ogni cacciatore ha il mio santino in casa” scherza lui riferendosi alle cartucce che hanno impresso il nome della sua azienda.

E in Piemonte? L’unica certezza sembra la candidatura di Federica Barbero Invernizzi, legata alla famiglia proprietaria dell’azienda Inalpi, che potrebbe presentarsi sia per uno scranno in Regione sia alle Europee. Può contare sull’appoggio dell’ala moderata di FdI, quella che fa capo a Guido Crosetto e al coordinatore regionale Fabrizio Comba, ma anche sul ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida, e su questa tornata elettorale pare stia investendo tantissimo, in termini di tempo, lavoro e risorse. E gli altri? Resta sullo sfondo l’ipotesi di Crosetto – se lo chiedesse Meloni – così come quella di Gaetano Nastri, che a chi gli chiede notizia di una sua corsa per Strasburgo racconta di un altolà giunto nientemeno che dal presidente del Senato Ignazio La Russa, il quale mai si priverebbe del suo prezioso lavoro di questore a Palazzo Madama. Vabbè. Tra coloro che ci stanno pensando ci sarebbe anche il coordinatore della provincia di Torino Fabrizio Bertot, che a Bruxelles c’era già stato sotto le insegne del Pdl e cinque anni fa, con FdI, pur non centrando l’elezione aveva confermato una certa predisposizione nella raccolta delle preferenze riuscendo a raggranellarne quasi 6mila (Fidanza centrò l’elezione con 11mila). Arrivò sesto, una posizione che oggi gli potrebbe consentire di tornare sugli scranni.

E se in Forza Italia le (poche) speranze piemontesi sono sull’ex governatore Roberto Cota, mentre si attende che sciolga la riserva Paolo Damilano (a quanto raccontano spaventato dalla debolezza del partito e dalla mole di voti necessaria per centrare l’elezione), nel Pd i due super favoriti sono il ligure Brando Benifei e il sindaco di Bergamo Giorgio Gori. Entrambi considerano il Piemonte terra di conquista e negli ultimi mesi hanno intensificato le loro sortite. In particolare Gori che può contare su una moglie alessandrina, Cristina Parodi, e una casa sulle montagne olimpiche dell’alta Valsusa. Il primo cittadino orobico ha partecipato alle feste dell’Unità di Torino e Novara e recentemente è anche stato alla fiera del fungo a Cossano Canavese, roccaforte elettorale del consigliere regionale Alberto Avetta. Se, come sembra, Patrizia Toia non cederà alla tentazione di un altro mandato, il suo bacino elettorale potrebbe ereditarlo Fabio Pizzul, figlio del celebre telecronista Rai ed ex capogruppo dem nel Consiglio regionale lombardo.

Tra i nomi da tenere d’occhio c’è anche quello di Pierfrancesco Maran, assessore al Comune di Milano, aspirante alla successione di Giuseppe Sala. Tra gli uscenti, inoltre, spicca Irene Tinagli, economista di stampo liberale che cinque anni fa era sostenuta da Matteo Renzi e Carlo Calenda. Sembra passato un secolo da allora e in questo Pd potrebbe non esserci spazio per una figura così fuori dalle dinamiche correntizie e dal profilo così genuinamente riformista. Mettici l’ipotesi di una capolistatura per Cecilia Strada, erede del fondatore di Emergency Gino Strada, ed ecco che per i piemontesi, dopo l’annunciato ritiro di Mercedes Bresso (peraltra subentrata dopo le dimissioni di Pierfrancesco Majorino, lo spazio si restringe in modo pericoloso. E così si capisce anche la decisione di Chiara Gribaudo di dirottare le proprie ambizioni verso la Regione. La macanza di candidature è emersa ancora ieri sera in direzione, quando il segretario piemontese Mimmo Rossi ha chiesto maggior partecipazione nel partito nell'individuare disponibilità che al momento non stanno emergendo. Appello caduto nel vuoto.

Infine il M5s dove Maria Angela Danzì, siciliana di nascita poi trasferita al Nord dov'è stata segretario generale di alcuni importanti Comuni come Genova, Novara e Varese, ci terrebbe a fare un altro giro ma su di lei pare sia impressa la lettera scarlatta di Luigi Di Maio, prima capo politico poi il traditore: fu lui a imporla nel 2019, ora il suo nome potrebbe essere un ostacolo per la riconferma.

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