SANITÀ

Liste d'attesa: "No a straordinari". Mazzata sul piano del governo

Sei medici su dieci non sono disponibili a prestazioni aggiuntive. Dal sondaggio Cimo-Fesmed la questione del troppo lavoro, ma c'è pure chi preferisce visitare in privato (a pagamento). E gli infermieri preparano lo sciopero per le pensioni

Più della metà dei medici, esattamente il 58,5, non è disponibile ad aumentare l’orario di lavoro per ridurre le liste d’attesa. Una pesante tegola che sta per abbattersi sul già fragile piano che il Governo, d’intesa con le Regioni, sta predisponendo e che si basa proprio un aumento della retribuzione di quelle prestazioni aggiuntive che, però, sei medici su dieci dicono di non essere disposti a fornire.

Ciò che merge dal sondaggio effettuato per conto del sindacato dei camici bianchi Cimo-Fesmed, oltre a porre un’allarmante ipoteca sull’ultima iniziativa volta a ridurre i i tempi di attesa per interventi, visite specialistiche e accertamenti diagnostici, fa emergere più nel dettaglio i motivi alla base del diniego da parte dei medici. Al primo posto nel 29% dei casi c’è la volontà di non sacrificare ulteriormente la propria vita privata aggiungendo ore di lavoro a quelle che si ritengono già troppe, mentre per il 21,5% degli interpellati non è questa la soluzione del problema. C’è poi chi sostanzialmente non pare rifiutare la proposta, ma quel 4,6% ad oggi dice di essere pronto a farlo perché ritiene insufficiente l’aumento previsto e poi c’è ancora una parte dei camici bianci, il 3,5%, che spiega di preferire prolungare l’orario di lavoro lavorando in intramoenia o privatamente, insomma anche in questo caso non è tanto il carico di lavoro a pesare quanto il guadagno. Sull’altro fronte, minoritario, di chi si dice disponibile, il 18% spiega che lo farà perché sente il dovere di farlo mentre il 23,4% aderirà per incrementare lo stipendio.

Numeri che certamente allarmano, ma non stupiscono chi, come Guido Quici, presidente del sindacato che ha commissionato il sondaggio, spiega che “da una parte si mette in luce ancora una volta il grande spirito di abnegazione dei medici, che vengono poi ringraziati con aumenti contrattuali ben al di sotto del tasso inflattivo e con vergognosi tagli alle pensioni, mentre dall’altra questi dati conferma come chiedendo ai medici già dipendenti di lavorare di più si continua a raschiare il fondo del barile dove da raschiare non c’è più nulla”.

Il sindacalista osserva inoltre come ci si trovi “in una situazione che ha del grottesco con da un lato le Regioni che non assumono il personale e risparmiano complessivamente 2,6 miliardi rispetto al tetto di spese e dall’altro il Governo che non solo colpisce i medici dipendenti con tagli inaccettabili ai loro assegni pensionistici, ma per abbattere le liste d’attesa copia misure già adottate precedentemente e che si sono dimostrate del tutto fallimentari”. Per il rappresentante dei camici bianchi “se veramente si vuole intervenire per ridurre le liste d’attesa occorrono interventi strutturali. Senza il superamento del tetto alla spesa per il personale, incentivi veri che rendano il Servizio sanitario nazionale nuovamente attrattivo ed un piano straordinario di assunzioni, non si otterrà alcun risultato, se non quello di sprecare ogni anno 280 milioni di euro, che potrebbero invece essere utilizzati per assumere medici e infermieri”.

E proprio sul fronte di questi ultimi arriva la proclamazione dello stato di agitazione da parte del sindacato Nursind. Il tema è quello del ricalcolo pensionistico. "Non si cambiano le regole del gioco a partita in corso. Il ricalcolo delle pensioni retributive contenuto in manovra è inaccettabile per una categoria che è già ridotta al lumicino e a cui la nuova norma darà solo il colpo di grazia – sostiene il segretario nazionale Andrea Bottega – incentivando ancora di più la fuga di infermieri o verso nuovi lavori o fuori confine”. Tutt’altro che tranquillizzati dallo spiraglio prospettato dal sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon con un emendamento alla legge di bilancio, i sindacati degli infermieri avvertono: “Se il Governo non tornerà sui suoi passi siamo pronti allo sciopero. In ballo ci sono non meno di 13mila infermieri pronti a lasciare in anticipo il lavoro”.

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