Partiti (im)personali

Il ritorno della politica, dei partiti, delle culture politiche e della partecipazione democratica sono elementi importanti dopo la sbornia populista e demagogica che ha caratterizzato la vita pubblica del nostro Paese in questi ultimi anni. Una stagione all’insegna dell’antipolitica che ha indebolito il tessuto democratico del nostro Paese e che ha contribuito, purtroppo, all’incremento dell’astensionismo elettorale. Ora, con il centro destra al governo, il ritorno delle tradizionali categorie politiche – destra, sinistra e centro – e l’auspicio che il populismo non condizioni più pesantemente il cammino della democrazia italiana, si può aprire, forse, una stagione nuova e diversa per la stessa politica italiana.

Ma c’è un nodo che, peraltro di grande importanza, resta sul tappeto e che va sciolto. E al più presto. E questo nodo riguarda i cosiddetti “partiti personali”, o “partiti del capo” come dir si voglia. Partiti, cioè, che sono nient’altro che l’espressione del capo, che non conoscono la democrazia interna e che prevedono la “democrazia dell’applauso” come unica regola di comportamento e di rapporto tra il capo e i rispettivi adulatori. Insisto su questo elemento perché il recupero e il rilancio della politica non può avvenire se il ruolo dei partiti, cioè gli strumenti costitutivi e decisivi di ogni sistema democratico, non tornano ad essere autenticamente democratici e popolari. Perché con “partiti personali” o “del capo” non si può risollevare la politica né, tantomeno, ridare qualità alla democrazia. E sin quando persiste questa malapianta e questo profondo malcostume frutto e conseguenza della crisi della politica e della sua violenta personalizzazione, non ci potrà essere alcuna inversione di rotta.

Ecco perché adesso ci vuole un salto di qualità. Da parte di tutti i partiti, nessuno escluso. Per questi motivi il punto di svolta è il ritorno dei partiti democratici. Certo, non torneranno più i soggetti politici di un tempo, dove la selezione della classe dirigente, l’elaborazione del progetto politico e il confronto democratico erano il frutto di una concezione autenticamente democratica e fortemente partecipativa. E dove, soprattutto, vigeva la regola della leadership diffusa che impediva, di fatto, di consegnare il partito ad un capo indiscusso ed assoluto. Certo, i leader c’erano, eccome se c’erano. Ma erano leader pienamente inseriti nella loro comunità politica che rispettavano e che onoravano. E, al riguardo, si rispettavano le minoranze all’interno del partito. Perché, come amava dire spesso Carlo Donat-Cattin, storico leader della “sinistra sociale” della Dc, e quasi sempre in minoranza nel suo partito, “un partito è autenticamente democratico nella misura in cui rispetta le minoranze al suo interno”. E, in effetti, questa era e resta la regola aurea che certifica la natura libera e democratica di un partito. È appena il caso di ricordare che nei “partiti personali” e nei “partiti del capo” il tema delle minoranze interne non viene neanche affrontato perché è un capitolo estraneo al profilo di quelle organizzazioni.

E sarà proprio questo tema, quindi, a dirci se ci si avvia lungo un percorso che restituisce la politica alla sua nobiltà e alla sua storica funzione oppure se, al contrario, si consolida una prassi dove gli strumenti cardine della democrazia, cioè i partiti che sono costituzionalmente disciplinati, saranno oggetto di dominio e di sopraffazione di un capo che li gestisce a suo uso e consumo. Non è, questo, un elemento secondario per il nostro sistema politico e per la nostra organizzazione democratica. Anche perché, per citare lo storico cattolico Sandro Fontana, “quando vuoi capire cosa pensa un partito delle riforme istituzionali e costituzionali, è appena sufficiente verificare come quel partito pratica la democrazia al suo interno”. Una riflessione valida ieri e straordinariamente attuale anche oggi. E, di conseguenza, “partiti personali” o “partiti del capo” non potranno mettere in campo riforme autenticamente democratiche e rispettose dei principi e dei valori scolpiti nella Costituzione repubblicana.

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