POLITICA & SANITÀ

Pnrr Sanità rivisto al ribasso. Regioni col fiato sospeso

Tagliati ospedali e case di comunità. Scendono anche i posti letto di terapia intensiva previsti entro il 2026. La Commissione Ue promuove la nuova versione del piano ma ora non si può sgarrare. Il Piemonte però potrebbe evitare ulteriori sforbiciate

Un taglio di quasi un terzo delle case di comunità che scendono da 1450 a 1038, gli  ospedali  sempre di comunità ridotti da 400 a 397, così come le centrale operative che non saranno più 600, bensì 480. È la cura dimagrante imposta dal Governo alla missione 6 del Pnrr, che ha appena ricevuto il parere positivo della Commissione dell’Unione Europea, ma già è motivo di preoccupazione nei vertici delle Regioni che ancora non sanno come saranno distribuiti i tagli nel Paese e, a caduta, nei territori di competenza.

Un taglio annunciato dalla revisione complessiva al Piano nazionale di ripresa e resilienza che, nonostante la manifestata intenzione del Governo di una revisione e le rassicurazioni del ministro della Salute Orazio Schillaci circa la realizzazione delle strutture escluse dal progetto con altri finanziamenti, sta suscitando una prevedibile fibrillazione. Allarme accentuato dal fatto che ad oggi nessun presidente di Regione, così come nessun assessore alla Sanità sa quante saranno sul proprio territorio le strutture cui si dovrà rinunciare rispetto al piano iniziale, peraltro in molti casi in fase avanzata di realizzazione.

E poco rassicura ciò che giunge da Bruxelles dove la Commissione nel valutare la revisione del piano da parte dell’Italia, tra l’altro, scrive che “alla luce delle modifiche proposte dall’Italia la missione 6 continua a rafforzare la prossimità servizi e digitalizzazione del sistema sanitario nazionale. L'obiettivo delle proposte di modifica deve tener conto delle circostanze oggettive previste quali l’inflazione e sviluppi nazionali imprevisti”. Tradotto: i tagli sono indispensabili a fronte dell’aumento dei costi e di ritardi che in alcune parti del Paese rischierebbero di arrivare alla scadenza del 2026 con un’attuazione solo parziale del piano, ponendo a rischio i finanziamenti europei.

In questo nuovo scenario sono prevista altre riduzioni che rischiano di impattare su un sistema sanitario già messo a dura prova dal Covid prima e oggi dalla carenza di personale. Nella versione rivista del Pnrr viene ridotto il numero di posti letto per terapia intensiva da realizzare sempre entro il giugno del 2026, passando dagli originari 7.700 a 5.992. Sforbiciata anche sull’edilizia sanitaria, in particolare per quanto concerne gli interventi per rendere antisismici gli ospedali che si riducono da 109 a 84. Al contrario, aumenta il numero della soglia di pazienti che dovranno essere assistiti con la telemedicina che salgono da 200mila a 300mila. Davvero poca cosa, rispetto alle riduzioni che connotano la nuova versione del piano, cui va aggiunta pure la proroga di due anni, dal 2024 al 2026 del termine per l’entrata in funzione di oltre 3mila nuove apparecchiature diagnostiche.

Ma è, soprattutto, sulla medicina territoriale e le tre strutture cardine – ospedali e case di comunità insieme alle centrali operative – che si concentra l’attenzione delle Regioni in attesa di avere indicazioni più chiare dal ministero. Sarà una riduzione distribuita in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale o, invece, come sembra profilarsi si tratterà di incidere soprattutto con i tagli in quelle regioni in cui emergono già evidenti le difficoltà a rispettare la tabella di marcia con l’inderogabile, almeno a oggi, scadenza del giugno 2026? 

La seconda ipotesi pare essere quella prevalente ai piani alti della sanità piemontese dove si respira un cauto ottimismo in considerazione del sostanziale rispetto della road map e quindi, seppure in attesa delle indicazioni del ministero, si prefigura il mantenimento dei livelli attuali delle strutture previste, al massimo con possibili lievi ridimensionamenti. Peraltro un taglio il Piemonte lo aveva già subito rispetto all’iniziale prospetto del Pnrr quando dovette rinunciare a 9 case di comunità su 91 a causa della quota minima del 4% riservata alle regioni del Sud come previsto dalla legge varata all’epoca in cui era ministro della Salute Roberto Speranza.

Resterebbe, comunque, la ciambella di salvataggio indicata da Schillaci in altre risorse finanziarie, prima tra tutte il fondo per l’edilizia sanitaria. Anche in questo caso, tuttavia, i problemi non sarebbero superati facilmente. Non più tardi dello scorso giugno, l’assessore alla Sanità del Piemonte Luigi Icardi di fronte a questa prospettiva aveva spiegato che “dopo aver già finanziato nove strutture al di fuori del Pnrr per circa 14 milioni, altri soldi non ne abbiamo, quindi se il governo deciderà che dobbiamo finanziare in altro modo quelle fino ad oggi previste nel Pnrr dovrà fornirci le risorse necessarie”. Questione di soldi, ma anche di tempi e in questo caso il Piemonte come attestato da un recente rapporto di Agenas sulle case di comunità e messo meglio di molte altre regioni. Un elemento in più, forse, per alimentare la speranza che i tagli questa volta cadano altrove.

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