GRANA PADANA

"Salvini ha perso la bussola", bossiani in (di)rotta sul Nord

Da Milano a Torino tutti contro il Capitano. Torna in auge la causa del settentrione ma i protagonisti di quella stagione procedono in ordine sparso. Sono almeno tre i partiti già fondati. Da Castelli a Brigandì, da Leoni a Bernardelli: reduci in marcia

Marciano tutti nella stessa direzione, vanno a Nord i nostalgici di una Lega che non c’è più. Quelli per cui non era solo un punto cardinale, ma allo stesso tempo stella cometa e terra promessa. Indipendentisti, regionalisti, federalisti: tutti orfani di Umberto Bossi e Gianfranco Miglio, padri insieme di quella storia plasmata tra sacro e profano, i miti celtici e la devolution, il dio Po scagliato contro “Roma ladrona”. Ed è a quelle origini, a quella “matrice originale” che si rifanno oggi partiti e partitini, gruppi, associazioni e movimenti, tutti in marcia con la medesima rotta, seppur in ordine sparso, mentre Matteo Salvini ha “perso la bussola”. Una causa tradita quella nordista, ma non ancora persa come ripete da tempo l’avvocato Matteo Brigandì, un tempo legale del Senatùr e più volte parlamentare. Una fiducia che evidentemente non è il solo a nutrire, stando almeno ai tanti “ex” pronti a tornare sul campo della battaglia politica, sfoderando lo spadone di Alberto da Giussano. Intanto loro la secessione l'hanno fatta. Dalla Lega salviniana.

Il partito Popolare del Nord, costituito dall’ex ministro della Giustizia Roberto Castelli, è l’ennesima casa costruita dai revanscisti settentrionali. “Cosa vogliamo fare? Non me ne voglia Calderoli, ma nella palude del parlamento romano l’autonomia non ce la daranno – punge Castelli –. Metà paese vive sulle spalle dell’altra metà del paese, per questo non ci lasceranno mai l’autonomia”. Parole d’ordine che riecheggiavano lunedì al Palazzo delle Stelline di Milano dove, ironia della sorte, erano presenti anche Salvini e Calderoli per un altro evento che nulla aveva a che fare.

Questo sabato, al civico 11 di corso Venezia a Torino sarà invece la volta della Lega per il Nord, un simbolo sostanzialmente identico all’originale (“o almeno al presunto tale” ça va sans dire) e all’orizzonte tanto lavoro per gli avvocati dei due Carrocci. “Le liste patacca funzionano quando almeno quella vera ha i voti” scherza amaro un parlamentare salviniano. Ma loro non si sentono mica patacche, anzi. A capo dell’impresa c’è Maria Teresa Baldini, ex deputata e una vita a girovagare per tutto l’arco costituzionale, anche lei evidentemente in cerca del suo Nord. Nel 2013 entra nel Consiglio regionale lombardo grazie al buon risultato della lista Maroni Presidente, nonostante le sole 274 preferenze racimolate. L’anno dopo era già nel Gruppo Misto. Nel 2018 aderisce a Fratelli d’Italia con cui è candidata alle politiche. Nel 2019 subentra a Montecitorio a Carlo Fidanza, intanto eletto a Bruxelles, nel 2020 aderisce a Forza Italia, nel 2021 a Coraggio Italia, alla fine di quello stesso anno è con Matteo Renzi in Italia Viva, il 14 luglio dell’anno dopo rientra in Coraggio Italia con cui viene candidata alle ultime elezioni politiche senza però essere eletta.

Il presidente della Lega per il Nord è Giuseppe Leoni, parlamentare per quattro legislature, tra coloro che hanno avvitato i bulloni al primo Carroccio di Bossi, e poi ci sono l’ex europarlamentare alessandrino Tino Rossi, il conte Paolo Franzini Tibaldeo, anche lui ex deputato piemontese della Lega Nord, dal 1994 al 1996, agli albori della seconda repubblica. Il congresso costituente è stato celebrato lo scorso 15 ottobre a Chivasso, la città che diede il nome alla celebre Carta del 1943, in cui le popolazioni alpine di Piemonte e Valle d’Aosta s’incontrarono per stabilire i principi di uno stato federalista a sua volta inserito in un contesto europeo. Simboli e icone s’affastellano in un passato comune e infatti Chivasso è stata anche la sede scelta da Riccardo Molinari per il suo congresso, quello in cui a giugno è stato confermato con un plebiscito a capo della Lega salviniana del Piemonte.

“Il nostro obiettivo – racconta Roberto Ceresa, un altro reduce della stagione leghista oggi portavoce della Lega per il Nord – è quello di federare tutti questi micro gruppi che si riconoscono nella comune matrice regionalista, territoriale, autonomista”. Ed è con loro, dalle retrovie, che opera Brigandì, che a Salvini gliel’ha giurata.

Bile e ideali si mescolano nel corpo di tanti protagonisti di ieri, che oggi sono finiti ai margini. Come i fondatori di Grande Nord, il primo partito nato dalla contrapposizione con la deriva nazionalista di Salvini, quando lui era ancora il Capitano di una squadra che veleggiava su ben altre percentuali. L’animatore allora fu l’ex capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni che da poco ha fondato il movimento dei Repubblicani. C’era anche un altro ex deputato, lui piemontese, Walter Togni di cui pure si sono perse le tracce. Il testimone è rimasto nelle mani di Roberto Bernardelli, che alle scorse amministrative di Milano si è candidato a sostegno di Gianluigi Paragone sindaco, racimolando 10 preferenze. Alle ultime regionali ha, invece, sostenuto Letizia Moratti ma senza presentare una sua lista.

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