Prevedere (e prevenire) le crisi industriali

Si ripiomba nell’incubo delle crisi industriali: dalla Lear di Grugliasco alla TE Connectivity distanti l’una dall’altra nemmeno un chilometro in linea d’aria. Siamo in quello che negli anni del boom era uno dei territori più industrializzati d’Europa.

Purtroppo sono i due casi più eclatanti ma la lista è lunga. Ricordo ancora quando come sindacato proponevamo che Torino fosse riconosciuta come area di crisi complessa e dalle parti di via Fanti inorridivano a sentire la parola crisi associata a Torino. Poi ci fu la conversione “sulla via di Roma” e i soldi sono arrivati, ma come sono stati utilizzati? Per rinfrescare e arredare un capannone in corso Marche?

Sicuramente le due aziende hanno storie diverse. La Lear era già tecnicamente chiusa alcuni anni orsono e il rilancio della Fiat, diventata Fca, consentì la ripresa dell’attività lavorativa. Ma nessuno fece tesoro di quell’esperienza basata oggi come allora sulla mono committenza, a partire dalla proprietà che continuando a produrre con un unico cliente si viene schiacciati e fagocitati dalle richieste sovente legate all’abbattimento costi del cliente stesso. Dall’altra parte, avendo alcuni fatto dei parallelismi con la vertenza Embraco viene da dire che anche le parti sociali non hanno tratto esperienza da quella vicenda per evitare altre situazioni negative.

La vicenda TE Connectivity è diversa, anche per il settore merceologico, quello dell’elettrodomestico di appartenenza, che però risulta uno dei più in crisi e difficoltà nel nostro Bel Paese. Basti pensare alla crisi Whirpool in Campania e alle “stragi” di posti di lavoro avvenute nel settore elettrodomestici, negli ultimi decenni, in Italia. Un settore maturo, anzi stramaturo che è ovvio non possa avere futuro in Italia. Anche se nell’area metropolitana abbiamo il gruppo Bianco che “tiene” perché ha saputo diversificare le sue attività e adeguarle ai nuovi mercati che crescono con similitudini tecnologiche. Si chiama lungimiranza ma anche realisticamente programmazione del futuro.

Situazione di crisi dentro dei dati generali dell’economia piemontese che sono invece in crescita rispetto al 2022, in cui proprio l’area di Torino ha segnato un +25% nell’export durante il primo semestre. Per quanto riguarda le vendite all’estero, a farla da padrone continuano a essere i mezzi di trasporto e i Paesi in cui vendiamo di più continuano a essere quelli più industrializzati e con forte presenza dell’automotive come Francia e Germania e nell’extra UE, Stati Uniti e Regno Unito.

Ciò dimostra che le due crisi citate hanno caratteristiche specifiche non legate all’andamento dell’economia industriale piemontese ma per le loro peculiarità seguono cammini predeterminati, ampiamente prevedibili.

Davvero le crisi non si possono prevedere? Abbiamo fior di analisti che analizzano ciò che è accaduto, ma le analisi su ciò che potrà succedere hanno sempre e solo due paginette al fondo di questi tomi. Servirebbe un incubatore dove si facciano confluire dati, riflessioni ed esperienze, analisi macro e micro territoriali e globali che vengano poi rielaborate e confrontate con l’esistente sul territorio per provare a prevenire situazioni di difficoltà industriale. 

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