SACRO & PROFANO

Un'Ostensione targata Repole

Secondo rumors curiali l'arcivescovo starebbe preparando un'esposizione pubblica della Sindone per l'Anno Santo 2025. Come la definirà? La diocesi deve fronteggiare l'inverno demografico dei sacerdoti. L'85% dei preti giovani si autodefinisce "conservatore"

Voci accreditate danno per quasi sicura una Ostensione pubblica della Sindone per l’Anno Santo 2025 che a Torino avrà luogo in cattedrale da Pasqua alla festa di San Giovanni Battista. Sarà interessante conoscere come l’arcivescovo Roberto Repole definirà il Sacro Lino di cui è Custode pontificio. Si atterrà a quella oramai consueta di «straordinaria Icona del Sabato Santo» (Benedetto XVI nel 2010) o si spingerà fino a San Giovanni Paolo II che nel 1980 durante la sua visita sotto la Mole osò parlare di «insigne reliquia legata al mistero della nostra Redenzione»? Quella di papa Wojtyla fu l’espressione ancora usata – memore forse in materia degli insegnamenti dei gesuiti dell’Istituto Sociale – dall’allora sindaco Piero Fassino in una intervista al Tg3. Nella stessa occasione, l’arcivescovo Cesare Nosiglia definì la Sindone come «il simbolo della sofferenza di tutti gli uomini». Trovate voi la differenza. Un ignaro telespettatore avrebbe scambiato il sindaco per il vescovo e viceversa.

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Due cose colpiscono chi visiti sul sito della diocesi torinese la piattaforma “Percorsi”, che è il nome del nuovo Istituto per i futuri ministeri istituiti, per adesso ancora all’“anno zero”. La prima è il silenzio cristologico. Gesù Cristo è dato per scontato e mai nominato, nemmeno accennato. Come se fosse un lontano ricordo, una vaga ragione dell’essere e della ministerialità della Chiesa e dei cristiani. Si parla di «ambiti»: la Parola, la celebrazione Eucaristica (o più generalmente di liturgia) e la carità, ma Lui, Gesù vivo e Risorto, unica ragione di tutto rimane sullo sfondo, forse perso nei «simbolismi di luce» tipici del vago eloquio del direttore don Paolo Tomatis. Speriamo che, prima o poi, ci si accorga che solo l’esperienza di Cristo vivo, presente, toccabile e udibile nella carne della Chiesa è ragione di ogni movimento umano e cristiano. La seconda questione è forse la magna quaestio della quale nessuno parla, ma che è doveroso segnalare perché “il re è nudo”. Al di là dei pur legittimi riferimenti alle indicazioni pontificie circa i ministeri laicali istituiti (notevole il cacofonico neologismo di «catechistato»), la verità nuda e cruda è che le diocesi di Torino e di Susa stanno andando di gran carriera verso un profondo inverno demografico dei sacerdoti. A breve, al massimo dieci anni per essere ottimisti, la crisi esploderà in tutto il suo clamore. È il fallimento di oltre cinque decenni di pastorale giovanil-giovanilistica, della pastorale vocazionale e di un modo di vivere e presentare un cristianesimo moralistico e volontaristico, non sufficientemente ragionevole e a-metafisico, per nulla affascinante e, di fatto, irrilevante esistenzialmente.

Alla previsione che sempre più comunità saranno senza sacerdote, il che significa «pecore senza pastore», ci si prepara a formare «equipe di laici coordinatori» i quali, secondo la definizione del teologo Eugen Drewermann – si appresteranno a diventare, ma senza il dono dell’Ordine «funzionari di Dio». Un chiaro passo verso l’idea di una Chiesa ripiegata su sé stessa e che cerca di mantenersi in vita. Ma anche un passo deciso verso la protestantizzazione della ministerialità, senza più alcun rapporto nemmeno con il Vaticano II il cui magistero, rispetto al compito dei laici nel mondo, diceva ben altro.

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Il teologo del Cuneese, don Duilio Albarello, se la prende con il recente rapporto pubblicato negli Usa in cui si rileva che l’85% dei preti giovani si autodefinisce «conservatore» o «molto conservatore» osservando, giustamente, che un’analoga indagine in Italia darebbe più o meno gli stessi risultati e concludendo, sconsolato, che i sacerdoti di recente ordinazione sono parecchio critici nei confronti del magistero di Francesco e della sua stessa figura di papa poco convenzionale in cui a prevalere è «l’idealizzazione consolatoria del passato, piuttosto che l’immaginazione rischiosa del futuro». Per don Duilio i risultati del rapporto sono «forse il segno più evidente di una forma di Cattolicesimo terminale e in drammatica crisi di speranza». Evidentemente, un pesante schermo ideologico impedisce al teologo monregalese di avvertire la realtà e cogliere quelli che dovrebbero essere i conciliari «segni dei tempi» i quali, se non corrispondono alla propria visione sono sempre da rigettare. Se si legge il rapporto, si vede che con «giovani preti» si indicano quelli che maturarono la loro vocazione durante i pontificati di san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI i quali, non a caso, sono le bestie nere di don Albarello.

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Secondo il settimanale Panorama, che pubblica il contenuto di alcune intercettazioni, il “padre sinodale” Luca Casarini e i suoi accoliti – indagati a vario titolo per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violazione delle norme del codice di navigazione presso la procura di Ragusa – sarebbero al centro di una serie di trame per ottenere da prelati compiacenti contributi alla loro Ong “Mediterranea Saving Humans”. I generosi vescovi – che in un’intercettazione vengono definiti dei «coglioni» – sarebbero il fior fiore dei presuli bergogliani: i cardinali Matteo Zuppi, Jean-Claude Hollerich, Michael Czerny, il vescovo di Modena Erio Castellucci e soprattutto l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice che aveva ringraziato Casarini per «averlo evangelizzato». Per non parlare del cardinale elemosiniere Konrad Krajewski appellato come «la Carola Rackete del Vaticano».

Si tratterebbe di 2 milioni di euro per i 422 migranti delle tre uniche missioni umanitarie condotte dalla nave “Mare Jonio”, soldi derivanti dalle offerte dei fedeli. Tale somma avrebbe permesso non solo il soccorso ai migranti ma anche, stando ad un’altra intercettazione citata, sarebbe servita a Casarini per «pagare l’affitto di casa e la separazione». Sarà compito della magistratura appurare come siano andate le cose. Per parte sua il Santo Padre – appena saputo che la notizia stava dilagando sui social – ha ordinato un’inchiesta sull’erogazione dei contributi episcopali a Luca Casarini il quale – scambiato dai vescovi per il Buon Samaritano – ha dichiarato ovviamente che si tratta di un attacco a Francesco, «un papa che considero un padre». Il fenomeno – al di là delle scontate giustificazioni del «non sapevamo» – denota l’ingresso massiccio delle ideologie nella Chiesa ridotta ad Ong, ma mette anche in luce soprattutto quello che qualcuno ha definito il «vademecum» dei vescovi per piacere a Francesco fatto di piaggeria e adulazione. Ricordiamo che il papa scrisse ben due lettere di encomio e incoraggiamento a Casarini, che ha accumulato nel tempo 4 anni e 7 mesi di condanne definitive. Cose che succedono sempre quando la Chiesa – pensando di fare meglio la Chiesa – smette di fare la Chiesa.

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