GRANA PADANA

Salvini sorpassa a destra e la Lega teme di schiantarsi

Per garantirsi la platea all'adunata dell'estremismo sovranista è costretto a precettare parlamentari e dirigenti di ogni regione. Dal Piemonte scendono alla Fortezza da Basso in cento. Ma il partito ribolle e mastica amaro per la torsione nazionalista del suo leader

Tra le non poche defezioni eccellenti all’appello di Matteo Salvini pesa più di ogni altra quella dello spirito di Niccolò Machiavelli, costretto nella sua Firenze a veder far strame dell’acume politico e tradito, nella strategia sovranista del leader della Lega, il suo altrettanto celebre assunto. Basta ascoltare la pancia del partito, quella sempre meno vicina alla testa, per avere testimonianza di come sia assai poco o per nulla condiviso il fine della reunion fiorentina odierna con i sovranisti europei (quelli che ci saranno), ovvero il posizionamento ancora più a destra imposto alla Lega dal suo segretario dagli ormai distanti esordi politici nei comunisti padani. Per non dire dei mezzi, tra precettazioni (pratica in cui Salvini si esercita da leader come da ministro) di dirigenti e truppe cammellate di militanti con l’entusiasmo di un tacchino alla vigilia di Natale.

Basterebbero le sette camicie sudate in questi giorni da Alessandro Giglio Vigna, il parlamentare incaricato di compilare l’elenco del centinaio di leghisti piemontesi richiesti. Giglio sì, ma non proprio magico davanti a quei dinieghi alla trasferta fiorentina non certo allettante per più di un amministratore locale poco disposto a perdere una giornata e pure pagarsi il viaggio verso la Fortezza da Basso, esclusi però dalla visita agli Uffizi, riservata solo ai capataz. Uffizi “piegati a marketing politico”, come da anatema del sindaco Dario Nardella, per la cui successione il centrodestra parrebbe intenzionato a candidare proprio il direttore del museo, Eike Schmidt.

Nome assai più germanofono rispetto a quello che pare arrivare dal Venezuela, Tino Chrupalla e invece risponde all’ex imbianchino della Germania Est capo delegazione della tedesca Afd, formazione di estrema destra bollata dal segretario di Forza Italia Antonio Tajani come “impresentabile” e dunque motivo per rendere impossibili alleanze europee a destra per gli azzurri. Altro dispiacere arriva dal leader dei rumeni di Aur, George Simion, tra gli invitati di Id, che non solo appare anche a una manifestazione a Pistoia organizzato dal fratello d’Italia Nicola Procaccini, copresidente dei Conservatori europei, ma addirittura annuncia l’adesione a Ecr. Uno sberleffo. Tradisce origini piemontesi Jordan Bardella, eurodeputato, enfant prodige dei sovranisti D‘Oltralpe. È lui a sostituire Marine Le Pen. Inutile chercher la femme, lei “era già venuta a Pontida”, spiegano dai vertici della Lega, tradendo delusione e imbarazzo di fronte a un’assenza che pesa, eccome se pesa. Manca solo che Matteo intoni Je ne regrette rien, ma la musica nel suo partito sta cambiando e le note stonate del Capitano di (s)ventura finiscono per avere come cassa di risonanza proprio l’evento di oggi, vissuto come l’ennesimo possibile pericoloso cambio di marcia, meglio di corsia, del leader.

L’evidente intenzione di provare a sorpassare a destra Giorgia Meloni, sulla strada dell’Europa, è manovra pericolosa e sempre meno compresa da una parte crescente del partito. Non c’è solo lo zoccolo duro del Nord, che già sarebbe d’avanzo, tradito dalla svolta nazionalista e che si sente sempre più orfano dei temi fondativi e costituenti della forza politica cui ha affidato istanze economiche e sociali ben precise. C’è un non dichiarato ma evidente malessere crescente anche salendo la piramide leghista, fino ad arrivare vicino al vertice. L’essere l’ultimo partito leninista preserva, per ora, il Capo da contestazioni evidenti, ma questa ulteriore sterzata a destra le fa trasparire in maniera sempre più decisa. A parte l’ala ipersovranista dei Claudio Borghi, degli Alberto Bagnai e non molti altri, il resto è una pentola che bolle. E che non nasconde come la giornata di oggi, con il lungo elenco di leader sovranisti e molti estremisti della destra, ben che vada potrebbe essere poco più che una ribollita, servita al desco dei meloniani con una premier sempre più accorta a tenere il collaudato profilo draghiano in Europa e più lontani gli ingombranti (ex?) alleati alla Viktor Orban.

Nel caso peggiore, con un Salvini che imbocca con ancor più decisione la corsia di destra, il tentativo di sorpasso sui Fratelli potrebbe finire al voto del giugno prossimo come la scena dei Vitelloni con Alberto Sordi che, strombazzando spernacchia gli operai “lavoratoriii”, ma poi la macchina di ferma poco dopo in panne.

Il rischio c’è e quello scarso entusiasmo alla chiamata fiorentina è l’ennesima conferma di come sia ben presente in una sempre più ampia parte della Lega, quella per intenderci cui ancora talvolta sfugge, parlando dell’alleato meloniano, il termine “fascisti”, a marcare una differenza di origini che non si vuole sacrificare nel nome del sovranismo, seppellendo senza lapide il federalismo. Un vento piuttosto freddo spira proprio dalla sua Lombardia, dove si reclama senza esito il congresso. Nel Nord Est, da sempre più autonomista anche rispetto alla linea nazionale, Luca Zaia e Massimiliano Fedriga con i loro successi personali hanno già marcato evidenze e differenze (pur negate) verso il Capitano. E pure nel più tranquillo Piemonte il partito è guidato da un Riccardo Molinari che certo non incarna, lui con le sue immancabili da sempre presenze al Sacrario della Benedicta dove vennero trudicidati dai nazifascisti settantacinque partigiani, un’anima di destra avvicinabile a quelle rappresentate da più d’uno dei leader dell’ultradestra oggi a Firenze.

Digerito come un rospo il due da picche dell’olandese Geert Wilders, il nazionalista che mostrava cartelli con su scritto “nemmeno un centesimo all’Italia” fresco di successo elettorale, Salvini è pronto ad accogliere gli alleati nazionalisti con duemila supporter, tra cui i cento piemontesi di cui si diceva, e le mani pronte sul volante per sterzare e portare ancora più a destra in Europa il Carroccio. Con quelli che ci stanno sopra, sempre di più a temere le conseguenze della manovra a Bruxelles dove il minor peso della Lega difficilmente la vedrà alla riconferma della presidenza del gruppo parlamentare di Identità e Democrazia, oggi retta da Marco Zanni. Non di meno nel Paese e, in particolare, nella regione dove si andrà al voto insieme alle europee. Insomma, in quel Piemonte dove la ribollita di ultradestra non è certo il piatto forte, per non dire un po’ indigesto.

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