Normalità relativa

La normalità è una condizione riconducibile alla consuetudine, a ciò che una società ritiene giusto. Purtroppo questo concetto viene spesso reinterpretato sulla base delle circostanze e di valori riconosciuti come tali dalla comunità di appartenenza. Quel che è normale per alcuni, non è detto lo sia per altri. Può accadere, anzi, che taluni ritengano “normali” alcune azioni riprovevoli, e che si alterino quando viene fatto notare loro come non vi sia alcuna traccia di normalità in quel che fanno. Altre volte la normalità sembra solo frutto del buon senso, seppur sotto attacco perenne da parte delle convenzioni sociali e dagli ambienti politici reazionari.

Ho sempre ritenuto normale il diritto (che pensavo universale) di partecipare con il voto alla vita politica del Paese: la possibilità di esprimere la propria preferenza sulla scheda elettorale a prescindere dall’etnia, dal credo politico o dall’identità di genere dei cittadini. Allo stesso tempo mi pareva naturale che a tale diritto corrispondesse quello di poter essere candidati, senza alcuna inconcepibile discriminazione, sia alle elezioni amministrative che a quelle politiche.

Solamente con il passare degli anni ho riscontrato una la realtà molto diversa da come la immaginavo: lontana, quindi, da quella che intendevo essere “normale”. Uno stato delle cose più volte narrato in casa da mia madre: “Solo con la caduta del Fascismo, noi donne abbiamo potuto esercitare il diritto di voto. Tua nonna, la prima volta che ha potuto votare è andata ai seggi con il suo vestito più bello”. Normalità, in seguito diventata patrimonio di tutte, conquistata con determinazione dalle donne che avevano combattuto nella guerra di Liberazione, ma al contempo osteggiata tenacemente da molti uomini (e qualche istituzione) ancora legati alla cultura in voga nel ventennio mussoliniano. Aspetto narrato con molta efficacia dal film di Paola Cortellesi, uscito di recente nelle sale, “C’è ancora domani”. 

Per i fautori della società patriarcale, quindi, esiste una sorta di diritto divino che esclude il genere femminile dall’elettorato sia attivo che passivo, costringendolo inoltre a subire il dominio assoluto da parte del maschio. L’ipocrisia, unita a un miscuglio di egoismo e di ignoranza, non consente a molti ragazzi ancora oggi, riconoscere il fallimento delle società rette da ingiuste dinamiche di supremazia: uomini tiranni nei confronti delle donne; bianchi che schiavizzano i neri; prepotenti pronti ad aggredire chiunque ritengano “diverso” (da chi o cosa non è dato sapere).

Il desiderio di dominio, da parte di coloro che si autoproclamano “normali”, prende forma con l’uso della violenza, provocando dolore fisico e, nei casi più estremi, infliggendo anche la morte. Esseri che si ritengono nella facoltà di assoggettarne altri, di poter schiacciare letteralmente a terra persone a cui però dichiarano continuamente il loro (malato) affetto: ecco come si manifesta la “normalità” dei folli che non hanno coscienza di sé stessi.

Un enorme corto circuito, generato dal riacuirsi dell’analfabetismo sociale e della povertà materiale, ha spezzato le nostre comunità, facendo tornare in auge una visione dei rapporti umani costruiti sulla forza, sull’uso delle catene e della costrizione fisica.

Compito dello Stato dovrebbe essere quello di formare cittadini in grado di distinguere la normalità, che dimora soprattutto nel rispetto di tutti e in primis della persona che si afferma di amare, dai comportamenti dettati da una visione distorta, quanto malata, della realtà. Occorre marginare i violenti, i dominatori, i padroni mettendoli di fronte ad uno specchio che li ritragga per quel che sono davvero: esseri indegni, patetici e dediti a sprecare la loro vita distruggendo quella degli altri.

La Natura stessa insegna cosa possa definirsi “normalità”, e lo mostra tutti i giorni a chiunque sia in grado di osservarla. Normale è proteggersi a vicenda e aver cura dei cuccioli, anche a costo di mettere a rischio la propria esistenza; normale è l’esatto opposto dal ritenere che altri esseri viventi siano una proprietà privata riservata al despota di turno.

Normale è rapportarsi con il nostro pianeta considerando l’esistenza cosa rara e preziosa, poiché difficilmente ripetibile. Il resto è bieca violenza.

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