POLITICA & GIUSTIZIA

Intercettazioni illecite, Esposito prosciolto. Dopo 8 anni si chiude l'odissea giudiziaria

La Corte Costituzionale accoglie il ricorso del Senato nell'inchiesta Bigliettopoli. Le circa 500 telefonate registrate senza autorizzazione non furono casuali e soprattutto non potevano essere usate. Crolla il castello accusatorio della procura di Torino (pm Colace)

L’ex parlamentare Pd Stefano Esposito è prosciolto da ogni accusa, l'inchiesta annullata e il relativo rinvio a giudizio cancellato. A stabilirlo è la Corte costituzionale che, attraverso la sentenza appena depositata, “ha annullato (…) la richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura” di Torino nell’ambito del procedimento denominato “Bigliettopoli” e di altri filoni secondari. Si chiude così, in modo definitivo, una odissea giudiziaria durata otto anni e viziata, secondo quanto appurato dai giudici della Consulta, da circa cinquecento intercettazioni raccolte in modo illecito dalla Procura di Torino. E cioè senza chiedere la preventiva autorizzazione al Senato, come previsto dalla legge (ex art. 4 legge 140 del 2003). Crolla il castello di accuse formulate dai vari pubblici ministeri che si sono susseguiti (Paolo Toso e Antonio Smeriglio prima e successivamente Gianfranco Colace), dopo che nei giorni scorsi l’intero processo aveva subito un colpo quasi ferale con la prescrizione di 23 capi di accusa e il trasferimento per competenza al tribunale di Roma. Di tutte queste conversazioni registrate, 126 sono state la base del rinvio a giudizio dell'ex senatore per turbativa d'asta, corruzione e traffico di influenze, senza che né il pm Colace né il gip Lucia Minutella ne chiedessero l'autorizzazione. “Mi hanno distrutto la vita violando leggi, Costituzione e tutto il possibile” sono state le prime parole pronunciate da Esposito.

L’inchiesta, nata nel 2015, poggiava sul sospetto di un vero e proprio sistema che negli anni avrebbe agevolato o cercato di agevolare colui che era considerato il re dei concerti per la sua capacità di portare a Torino i big della musica internazionale. In tanti, secondo l’accusa, si erano spesi per Muttoni e lui li aveva ricompensati in vari modi: dai biglietti gratis ai prestiti in denaro. In otto anni, nulla di tutto questo è stato dimostrato. La Corte ha ritenuto che il coinvolgimento dell’allora senatore Esposito emerga chiaramente a partire dal 3 agosto 2015, quando il contenuto delle conversazioni intercettate viene per la prima volta fatto oggetto di “spunti investigativi meritevoli di approfondimento”. A partire da quella data, mutano gli obiettivi dell’indagine, convalidati anche da provvedimenti adottati a seguire e dalla successiva iscrizione del parlamentare nel registro degli indagati. Ma tutto ciò è illegittimo perché l’intero impianto si fonda sulla acquisizione e l’utilizzo di intercettazioni, successive al 3 agosto 2015, avvenute senza che sia mai stata richiesta, dall’autorità giudiziaria procedente, l’autorizzazione preventiva prescritta dalla legge.

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Con la sentenza appena depositata la Corte Costituzionale ha accolto il conflitto di attribuzione proposto dal Senato. E dal momento che tutta l’architettura accusatoria nei confronti dell’ex parlamentare del Pd poggiava su intercettazioni illecite ha disposto l’annullamento del rinvio a giudizio.  “Non spettava – infatti – alle autorità giudiziarie che hanno sottoposto ad indagine e, successivamente, rinviato a giudizio Stefano Esposito, disporre, effettuare e utilizzare intercettazioni rivolte nei confronti di un terzo imputato (Giulio Muttoni ndr, a sua volta intercettato 24mila volte), ma in realtà univocamente preordinate ad accedere alla sfera di comunicazione del parlamentare, senza aver mai richiesto alcuna autorizzazione al Senato della Repubblica” si legge nella sentenza.

A rappresentare la Procura, perorando la tesi della liceità del comportamento dei suoi magistrati, era stato incaricato l'ex procuratore capo Marcello Maddalena, oggi avvocato ma anche figura di riferimento e con ancora notevole influenza al Palagiustizia di Torino. Le sue argomentazioni, presentate durante l'udienza dello scorso 21 novembre, evidentemente, non sono risultate convincenti. Quella pronunciata dai giudici costituzionali è una sonora bocciatura dell'operato dei colleghi subalpini.