SANITÀ MALATA

Liste d'attesa e Pronto Soccorso, l'emergenza senza fine in sanità

Nonostante l'arrivo dell'influenza fosse ampiamente previsto, il sistema rischia il collasso. Barillà (Smi): "Anziché agire per tempo Regione e Asl cercano rimedi quando ormai la situazione è critica". La popolazione invecchia, ma si riducono i posti letto.

“Mentre aumenta l’età media aumenta, i posti letto negli ospedali diminuiscono. È un paradosso, ma soprattutto la situazione che da anni vive il nostro sistema sanitario a scapito dei pazienti. Tanto più in una regione, come il Piemonte, che è la più anziana d’Italia”. Sembra scoprire l’acqua calda, Antonio Barillà, segretario regionale del sindacato dei medici di medicina generale Smi. E, tutto sommato, è così. Eppure di fronte a una situazione talmente evidente da apparire, incomprensibile nel suo perdurare, le soluzioni ancora non si intravvedono. Intanto i problemi si sommano. 

Come ogni anno puntuale arriva l’influenza e altrettanto puntuali si presentano i Pronto Soccorso ingolfati, fino allo stremo. Dottor Barillà, ci si può ancora sorprendere dei pazienti sulle barelle per giorni?
“Certo che no. Adesso, sono tutti alla ricerca dei colpevoli, tribuni che ignorano le vere cause del problema e politici incapaci che cercano di nascondere i loro gravi errori. Tutti guardano a quel che succede adesso, ma non alle cause di questo disastro sanitario ampiamente annunciato”.

Annunciato o prevedibile, ma nonostante questo ogni anno si ripete l’emergenza che, ormai appare più una patologia cronica. Dove sta la responsabilità?
“Le Regioni e le Asl conoscono bene l’annoso problema, ma, anziché agire per tempo, preparando un serio piano per la gestione dell’emergenza influenzale e parainfluenzale entro settembre-ottobre che preveda l’aumento dei posti letto, del personale, dei medici di continuità assistenziale, ignorano tutto ciò o, per meglio dire, fanno finta di occuparsene, cercando in extremis rimedi tanto frettolosi quanto inefficaci. Purtroppo, se l’azione politica rimane tale, ogni anno sarà sempre peggio”.

Non resta che aspettare che sparisca il virus?
“Purtroppo è così. Tra qualche mese non si parlerà più dei Pronto Soccorso e si tornerà a parlare delle liste d’attesa. Da un’emergenza all’altra, che spesso si accavallano, senza soluzione di continuità, ma mi faccia dire una cosa…”

Dica.
“In questo periodo dell’anno, gli ospedali e i Dea in particolare sono nell’occhio del ciclone, ma non bisogna dimenticare che oltre il 90% del problemi sanitari della popolazione vengono gestiti sul territorio, in primis dai medici di famiglia”.

Anche su quel fronte, al netto della nota carenza di professionisti, non è che le cose funzionino sempre al meglio. Spesso dipende dalla coscienza del singolo medico. C’è chi fa le visite a domicilio e chi no, solo per fare un esempio. Lei è uno dei pochi sindacalisti che da tempo sostiene sarebbe meglio che, come dice anche il ministro Orazio Schillaci, i medici di famiglia fossero dipendenti del servizio sanitario nazionale. Ma è uno dei pochi, lo sa.
“Lo so e continuo a sostenere questa tesi, anche se le resistenze sono molto forti. Pure i costi aumenterebbero e questo è un altro problema”.

Torniamo alla questione dei posti letto. 
“Sì e guardiamo i numeri. Nel 1980, gli over 65 erano il 13,1% della popolazione e gli over 80 soltanto il 2,1%; tali percentuali sono aumentate, raggiungendo nel 2002 e nel 2020 rispettivamente in Italia ci sono circa 14 milioni di over 65. Nel 1980, i posti letto ospedalieri per malati acuti erano 922 ogni 100 mila abitanti mentre oggi sono 275. Solo dal 2000 ad oggi sono stati tagliati oltre 80mila posti letto. Forse la classe politica Italiana degli ultimi 30 anni ha immaginato che invecchiare significasse stare meglio e quindi avere bisogno di meno assistenza sanitaria ospedaliera”. 

Una situazione che in Piemonte, vista l’anzianità della popolazione, diventa ancora più pesante. È così?
“Purtroppo sì. La sanità territoriale, al pari di quella ospedaliera, è stata negli ultimi vent’anni anni depauperata e sottofinanziata con una carenza, oggi, di non meno di 600 medici di famiglia, e altrettanti medici di continuità assistenziale, secondo i parametri dei contratti nazionali. Le cure domiciliari sono carenti di personale infermieristico, per cui implementare l'assistenza territoriale è diventato impossibile”.

Dopo la pandemia si è detto e ripetuto che va accresciuta l’integrazione tra ospedale e territorio. Dal suo osservatorio territoriale a che punto siamo?
“L'integrazione ospedale territorio non esiste se non negli enunciati. La stessa delibera numero 10 che attualmente è lo strumento che consente agli ospedali di trasferire nelle Rsa i pazienti per la continuazione delle cure ospedaliere non funziona o funziona male. I malati spesso vengono trasferiti in strutture lontane dal loro domicilio, quindi privandoli della possibilità di avere il loro medico di famiglia”.

Quello delle distanze è un problema che si ripete anche per le liste d’attesa. Lei prescrive un esame o una visista specialistica e…
“E spesso i pazienti sono costretti a spostarsi in lungo e in largo per il Piemonte, in molti casi decidendo di pagare provatamente spendendo meno che quanto spenderebbero per gli spostamenti. Senza contare le difficoltà per gli anziani e per chi non ha mezzi propri. Possibile che nessuno dei nostri burocrati o politici si ponga il problema di chi deve spostarsi da Moncalieri a Domodossola, da Chivasso a Cuneo, o da Torino a Novara, per una visita, un esame?”.

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