Regionali e l’approccio "democristiano"

Lo strano e singolare dibattito che, almeno sino ad oggi, caratterizza il confronto politico tra i vari partiti in vista delle ormai prossime elezioni regionali piemontesi, non stupisce granché. Del resto, la crisi della politica, e quindi dei partiti, è ancora sotto gli occhi di tutti e non sarebbe necessario neanche avviare un approfondimento al riguardo per avere conferma di ciò che sta concretamente capitando. È appena sufficiente registrare lo spettacolo all’interno della coalizione di sinistra per rendersene conto. Una pantomima tra il Pd della Schlein e i populisti dei 5 stelle uniti dal solo ed esclusivo obiettivo di attaccare la figura dell’attuale presidente della Regione Piemonte ma, come da copione, senza alcuna progettualità comune e, soprattutto, senza alcuna convergenza programmatica significativa in vista di un eventuale governo del territorio. E gli esempi, purtroppo, si potrebbero moltiplicare. Il tutto all’interno di un quadro politico alquanto contorto e contraddittorio dove, purtroppo, l’unico elemento che emerge è la debolezza della politica, la caduta di credibilità dei partiti e anche la scarsità della attuale classe dirigente politica ed amministrativa.

Ed è proprio di fronte a questa situazione che emerge almeno un aspetto, forse utile e financo indispensabile, per garantire il buon governo di un territorio complesso e articolato come il Piemonte. E quel metodo, al di là dell’abuso scorretto e strumentale del termine, è quello di saper mutuare ancora oggi un approccio cosiddetto “democristiano”. Che nella vulgata dissacratoria degli storici detrattori di quella esperienza politica significa mediazione al ribasso, incapacità di gestione e la pura e disinvolta conservazione del potere. Ma che, al contrario e com’è ormai patrimonio quasi comune, significa cultura di governo, rifiuto di una violenta ed irresponsabile radicalizzazione del conflitto politico, disponibilità al dialogo e al confronto, estraneità a qualsiasi criminalizzazione dell’avversario politico che non è mai un nemico irriducibile, cultura della mediazione “alta”, capacità di comporre interessi contrapposti, ricerca della sintesi e, in ultimo, un profilo politico autenticamente riformista. Categorie politiche che non si limitano ad un metodo astratto e virtuale ma che evidenziano come da un approccio concreto emerge anche e soprattutto uno stile del far politica. Uno stile, ed un metodo utili e, appunto, necessari in una stagione che purtroppo è ancora fortemente caratterizzata e condizionata dai disvalori della cultura populista, antipolitica, qualunquista e demagogica del mondo grillino. Un metodo, quello, che ha contribuito in modo potente a dissacrare l’intera politica e a ridurla ad un confronto tra un maldestro e finto nuovismo contro un altrettanto finto conservatorismo.

Si tratta, quindi, di saper invertire rapidamente la rotta. Senza inventare nulla e senza farsi incantare dai falsi moralisti e dai finti rinnovatori. Ma, molto più semplicemente, recuperando quelle categorie del passato che possono ancora essere decisive e determinanti per una feconda, positiva e corretta dialettica politica contemporanea. E nel caso specifico, per continuare il buon governo del territorio piemontese, senza estremismi e senza massimalismi di ogni sorta.

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