POLITICA & GIUSTIZIA

Candidato o no, lo decide il partito

È lecito cancellare il nome dalla lista anche dopo il completamento della raccolta delle firme. Per questa ragione Molinari è stato assolto dall'accusa di falso elettorale lo scorso novembre. Ci voleva un processo per affermare una prerogativa così banale?

Un partito politico può intervenire per cancellare un candidato da una lista elettorale anche dopo il completamento della raccolta delle firme. Ci voleva un processo o, forse, se ne sarebbe potuto fare a meno, per sancire una prerogativa che pare lapalissiana agli occhi di chi si occupa di politica. Il principio è stato espresso da un giudice del tribunale di Torino, Paolo Gallo, nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso novembre ha assolto Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera e segretario del partito in Piemonte, e due esponenti del Carroccio nel Torinese, Alessandro Benvenuto, parlamentare e segretario provinciale, e Fabrizio Bruno, all’epoca delegato del partito al deposito delle liste, indicato dalla procura come autore materiale. Il processo riguardava l’esclusione di un candidato, ex di Forza Italia appena approdato alla Lega, eseguita materialmente con un tratto di penna sul nominativo, in occasione delle comunali a Moncalieri (Torino) nel 2020.

Ricostruendo la vicenda, il pm Gianfranco Colace aveva affermato che l’esclusione del candidato, Stefano Zacà, fu decisa per “non fare uno sgarbo” a Paolo Zangrillo, esponente di Forza Italia e residente a Moncalieri (non imputato), oggi ministro della Pubblica amministrazione. “Questo – aveva ha detto il magistrato – politicamente è comprensibile. Ma la modalità scelta (la cancellazione del nome, ndr) è contraria alla legge. Un intervento sulla lista può farlo solo la commissione elettorale e mai per ragioni di opportunità politica, ma solo per irregolarità nella procedura. La soluzione doveva essere ripetere la raccolta delle firme, anche se il tempo rimasto era poco. Così, invece, è stato alterato un atto”.

“Il reato non esiste”, aveva insistito l’avvocato Luca Gastini, difensore di Molinari, osservando che “tutti gli organi che si sono occupati di questa vicenda (Tar, Consiglio di Stato, commissioni elettorali - ndr) non hanno mai evidenziato profili di rilevanza penale”. La “barratura” sul nome di Zacà “non contava nulla. Era soltanto la modalità operativa con cui si era resa più chiara la situazione: quel candidato non c’era, gli altri 23 sì. Di Zacà mancava l’accettazione e il curriculum, erano i due documenti indispensabili. Senza la barratura non sarebbe cambiato. Il falso, quindi, è totalmente irrilevante”.

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