SCIUR PADRUN

Confindustria ai nastri di partenza, saggi in campo per evitare la conta

Oggi presentazione delle candidature: in quattro hanno superato la soglia delle firme. Orsini in testa (45-48) seguito da Garrone (33-36), Gozzi (26-27) e Marenghi (una ventina). Ma si vince in Consiglio generale e nessuno può farcela da solo. Sherpa al lavoro

Ultime ore per la presentazione delle candidature alla presidenza di Confindustria. Il termine scade a mezzanotte, ma non bisognerà attendere fino a quell’ora per veder planare sul tavolo dei tra saggi (Mariella EnocAndrea Moltrasio e Ilaria Vescovi) i quattro nomi degli altrettanti aspiranti, sia pure con chance differenti, alla poltrona che sta per essere lasciata da Carlo Bonomi. Al momento sono, infatti quattro i candidati e non non si intravvedono altri all’orizzonte, tantomeno si prospettano, al momento, passi indietro. Ai blocchi di partenza della corsa verso il voto in Consiglio Generale del 4 aprile propedeutico all’investitura da parte dell’assemblea il successivo 18, ci sono Emanuele OrsiniEdoardo GarroneAlberto Marenghi e Antonio Gozzi. Il borsino assegna le quotazioni maggiori ai primi due, ma mai come in questa circostanza s’attaglia la frase di circostanza che ricorda come i giochi siano ancora del tutto aperti. 

Anzi, la partita vera di fatto deve ancora incominciare. Perché se è vero che un gradimento lo si può ricavare dal numero delle firme di sostegno, che i saggi dovranno verificare siano almeno 20 per ciascun candidato, altrettanto vero e confermato da più di un precedente è che questo metro di misura è tutt’altro che infallibile, visto che non sempre alle sottoscrizioni di appoggio poi corrispondono i voti, dirimenti per essere eletti o no. Già fin d’ora, tuttavia, proprio a fronte del probabile scenario di un duello tra l’emiliano Orsini, attuale vicepresidente con delega a Credito, Finanza e Fisco, imprenditore nel settore del legno e dell’alimentare e il ligure Garrone, erede di una dinastia di petrolieri, settore con lui riconvertito all’energia green, l’intendimento dei saggi pare sia quello di evitare di arrivare a una conta finale. L’obiettivo non dichiarato, ma perseguito con una certa intensità, sarebbe quello di arrivare davanti al Consiglio Generale con una candidatura unitaria e, proprio per questo, forte: come i tempi e la prospettiva economica e industriale del Paese nello scenario internazionale richiederebbe. E anche perché, come molti osservano, nessuno può farcela da solo.

Dunque binari paralleli quelli su cui viaggia il convoglio confindustriale verso il rinnovo della sua guida: l’uno che vede avanzare riti anche un po’ bizantini e procedure molto ferree, l’altro non meno rilevante su cui muove la diplomazia riservata fatta di incontri, verifiche, tastature di polsi e pure inevitabili trattative e accordi.

Nella riunione di insediamento i saggi, tra le varie decisioni, hanno anche definito il calendario delle consultazioni con tutte le articolazioni del sistema di rappresentanza degli industriali. In calendario sono previsti incontri il 15 febbraio a Milano, il 16 febbraio a Bologna, il 23 febbraio a Torino, il 28 ed il 29 febbraio a Roma, il 9 marzo a Padova, l'11 marzo a Napoli. Appuntamenti molto importanti perché, come ben sanno i candidati, sono soprattutto le strutture territoriali a pesare per il successo o l’insuccesso nella corsa alla presidenza. Tra i compiti formali dei saggi anche la verifica, non solo delle firme necessarie, ma anche del rispetto di una serie di complesse regole, come quella recente che impone ai candidati il divieto di parlare con la stampa.

Fatta la doverosa premessa su una non assoluta corrispondenza di peso tra il numero della firme e i voti necessari per essere eletti, la situazione oggi vede sempre più distintamente all’orizzonte un duello tra Orsini che di firme ne ha raccolte (giovandosi anche dell’anticipo con cui è sceso in campo) tra le 45 e le 48 e Garrone (33-36), con il primo che può contare sull’Emilia-Romagna, parte del Veneto, la Toscana, il Lazio, mentre per il genovese si schiererebbe il Piemonte con l’eccezione cuneese che sostiene Marenghi, un pezzo della sua Liguria (dove deve fare i conti con l’industriale dell’acciaio Gozzi) e la pesante Assolombarda.

Il resto è una vasta, ma altrettanto frammentata e mobile, prateria. Non va tralasciato ciò che si ripete in Confindustria quando ci si approssima al voto, ovvero che, appunto, si vota per convinzione e per convenienza. E di posti, incominciando dalle undici vicepresidenze passando per le garanzie a favore la piccola e media impresa rispetto alle grandi industrie, per convincere non ne mancano in viale Astronomia. Difficile, con due figure di peso come quelle di Orsini e Garrone, ma anche con l’incognita Gozzi (il quale difficilmente appoggerebbe il suo corregionale), evitare di immaginare una fase di stallo in queste prossime settimane. Prospettiva, questa, che farebbe aumentare l’intensità dell’invito da più parti rivolto ai tre saggi per lavorare a una candidatura unitaria, evitando spaccature di cui nessuno nega i possibili effetti negativi, a partire da un indebolimento della stessa Confindustria nei rapporti con Governo e sindacati.

Un ruolo importante, se non decisivo, lo giocheranno proprio le strutture territoriali, con tra quelle di maggior peso come le ramificazioni confindustriali piemontesi, con 12 voti (oltre a quello marenghiano di Cuneo). Un lavoro intenso e complesso per la diplomazia sotterranea e gli sherpa che certo non vedrà marginale proprio il Piemonte dove esiste ancora un margine di indecisione (o, più probabilmente, di opportuna attesa degli eventi) tra Orsini che viene visto assai bene per il suo dialogo tenuto nel suo ruolo di vicepresidente e Garrone che oltre a vantare una vicinanza geografica ha pure stretti e consolidati rapporti con figure di primo piano come il presidente di Confindustria Piemonte (e futuro numero uno dell’Unione Industriali di TorinoMarco Gay.

E proprio il Piemonte sa quanto potrebbe giovare evitare una conta, arrivando a una candidatura condivisa. Proprio quattro anni fa la piemontese Licia Mattioli uscì sconfitta da Bonomi e, prima ancora altri duelli segnarono il voto per la presidenza: nel 2016 Alberto Vacchi contro Vincenzo Boccia e nel 2012 Alberto Bombassei contro Giorgio Squinzi. Per contro in anni più addietro si arrivò all’elezione con un solo candidato, come con Luca Cordero di Montezemolo nel 2004 e quattro anni dopo con Emma Marcegaglia. Tornare indietro di quasi vent’anni parrebbe la richiesta che va crescendo tra quanti vedono più rischi che vantaggi nel presentarsi ai circa 180 componenti territoriali del Consiglio Generale (oltre a 20 di diritto), con un duello anziché con un nome quanto più possibile condiviso. La strada è appena incominciata.

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