LA SACRA FAMIGLIA

Dall'Avvocato a Marella e Elkann: nell'eredità "anomalie evidenti"

Il lavoro dei magistrati di Torino parte dal testamento di Gianni Agnelli: tre brevi schede scritte a mano. Ma l'attenzione è sugli originali di altri documenti redatti negli anni successivi. Sotto la lente i cambiamenti nella composizione della cassaforte Dicembre

Tre brevi schede scritte a mano: ecco l’insieme dei testamenti olografi di Gianni Agnelli, punto di partenza della battaglia giudiziaria ingaggiata dalla figlia Margherita sull’eredità. I manoscritti furono letti a Torino il 24 febbraio 2003, esattamente un mese dopo la morte dell’Avvocato, nello studio del notaio Ettore Morone: nei giorni scorsi la procura ha incaricato la guardia di finanza di visitarne la sede legale. Le schede non sono inedite e non sono oggetto di indagine da parte dei magistrati, che sono invece interessati a cercare gli originali di altri documenti redatti negli anni successivi. Nella prima scheda, redatta il 12 dicembre 1983, Gianni Agnelli prelegava “l’usufrutto delle azioni Gapi spa a mia moglie Marella Caracciolo” osservando che il prelegato era “da intendersi a carico di tutta l’eredità ed è a prelevarsi prima di ogni altra ripartizione”. Con la seconda, del 14 gennaio 1985, Agnelli nominava “esecutore testamentario l’avvocato Franzo Grande Stevens”. La terza, del 20 aprile 1999, riguardava le proprietà immobiliari. La villa nella collina di Torino, in strada San Vito Revigliasco, è legata “per l’usufrutto vitalizio a mia moglie Marella e per la nuda proprietà ai miei due figli Margherita e Edoardo in parti uguali”, così come le proprietà di Villar Perosa (Torino). Una palazzina a Roma, in via XXIV maggio 14, è legata “per l’usufrutto vitalizio a mia moglie Marella”, e altre costruzioni sulla collina torinese (in strada San Vito Revigliasco) al povero Edoardo.

Al centro di questa indagine c’è il testamento di Marella Caracciolo, che risulta redatto il 12 agosto 2011 dal notaio svizzero Urs Von Gruenigen, con le due “aggiunte” del 14 agosto 2012 e 22 agosto 2014. E qui, facendo propri i sospetti di Margherita, i pm parlano di “natura ragionevolmente apocrifa” delle firme di Marella. I militari della guardia di finanza sono stati incaricati di recuperare gli originali dei documenti. Il 2 marzo 2004, dopo una trattativa iniziata nell’autunno precedente, Margherita Agnelli firmò un’intesa a Ginevra con la madre. A fronte della rinuncia alle partecipazioni nelle società di famiglia, Margherita ottenne 109 milioni e il trasferimento di proprietà di svariati immobili, arredi, opere d’arte e altri attivi, per una stima totale (all’epoca) di circa 1,6 miliardi di euro. Inoltre si impegnò a corrispondere alla madre un vitalizio di circa 7 milioni. Tre anni dopo impugnò l’accordo sostenendo che una parte consistente del patrimonio le era stata nascosta. E nel frattempo le cose andarono avanti senza di lei. Già il 19 maggio 2004, poche settimane dopo, Marella cedette la nuda proprietà di una quota in Dicembre, la holding che controlla tutte le società di famiglia, a John, Lapo e Ginevra Elkann. Ed è già su questo primo passaggio che si appuntano le perplessità degli inquirenti: la declaratoria con la scrittura privata che certificava la mossa di Marella è del 2021. Non solo: il pagamento delle quote, che risulta effettuato con disposizione alla Gabriel Fiduciaria e un conto nella banca ginevrina Pictet & Cie, “allo stato non è documentato”. Il faro è acceso anche sul testamento di Marella, da cui Margherita, per effetto dell’accordo del 2004, è rimasta esclusa. La procura di Torino è interessata, ora, a verificare i cambiamenti nella composizione di “Dicembre”, la holding che, come una vera e propria cassaforte, controlla il resto delle società di famiglia: John Elkann, figlio di Margherita Agnelli e nipote di Marella, attualmente ne detiene la maggioranza delle quote. L’obiettivo dei pubblici ministeri è ricostruire la parte del patrimonio che, al netto di vari passaggi di proprietà e di quote societarie, rimase nelle mani della moglie di Agnelli, Marella Caracciolo, morta il 23 febbraio 2019 a 92 anni dopo una lunga lotta con il Parkinson, per capire se e quante tasse avrebbe dovuto pagare in Italia. Ed è per questo che sono alla caccia degli originali di almeno 14 documenti, datati fra il 2004 e il 2018.

Risulta che il 19 maggio 2004 Marella Agnelli si impegnò con una scrittura privata a cedere la nuda proprietà delle sue quote ai fratelli JohnLapo e Ginevra Elkann, riservandosi il diritto di usufrutto. I magistrati, però, hanno manifestato diverse perplessità rispetto a questa operazione, tanto che nel decreto di perquisizione parlano di “anomalie evidenti”. Una circostanza è “il pagamento delle quote apparentemente effettuato mediante disposizioni fiduciarie (a Gabriel Fiduciaria srl) e conti bancari esteri (banca Pictet & Cie di Ginevra) e, allo stato, non documentato”. La Gabriel Fiduciaria è stata acquisita dalla Pictet & Cie nel 2013. Tre anni dopo è stata messa in liquidazione e nel 2019 è stata cancellata dal registro delle imprese. Nella ricostruzione della guardia di finanza, è una delle società riconducibile direttamente o indirettamente all’avvocato torinese Franzo Grande Stevens, definito negli atti dell’indagine “storico consulente e persona di fiducia di Gianni Agnelli nonché suo esecutore testamentario”. Nel 2013, in uno dei mille rivoli giudiziari generati dalle mosse di Margherita, la procura di Milano fece un tentativo e alla fine si arrese. Non senza prendere nota che “molteplici indizi portano a ritenere come verosimile l’esistenza di un patrimonio immenso in capo al defunto Gianni Agnelli, le cui dimensioni e la cui dislocazione territoriale non sono mai stati definiti”. 

L’assetto proprietario della Dicembre, “che è stato definito oltre 20 anni fa e che riflette la volontà dell’Avvocato Agnelli nell’assicurare continuità alle attività della famiglia, volontà arcinota e accettata da tutti gli interessati quando era in vita, non può in alcun modo essere messo in discussione”, replicano gli avvocati di Elkann che contestano anche le ricostruzioni giornalistiche sui fondi esteri: “Non è nostra intenzione farci trascinare in una rissa mediatica poiché ci sentiamo più a nostro agio a rispondere nelle sedi giudiziarie come abbiamo sempre fatto negli ultimi venti anni. Ma è di immediata evidenza l’incompatibilità logica e giuridica tra la disponibilità di fondi, peraltro nota da anni, e la circostanza riportata da taluni organi di informazione per i quali sarebbero stati nascosti”.

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