L'eterna disfida tra Cgil e Cisl

Unità e autonomia sindacale dalla politica. Botta e risposta tra Luigi Sbarra e Maurizio Landini. Chi ha ragione? Chi ha torto? Hanno ragione tutti e due e quindi anche torto.

La Cisl è accusata di essere troppo accondiscendente con il governo di centrodestra e in effetti è vero con delle ragioni spiegabili ma non è detto che siano condivisibili. Il timore è quello di evitare che si creino troppi spazi di azione e visibilità ai sindacati che fanno riferimento al centrodestra come l’Ugl e la miriade di sigle autonome. La dimostrazione evidente è l’affollamento del tavolo verde a Palazzo Chigi quando sono convocate le parti sociali. Decine di associazioni presenti per cui si svilisce il ruolo e riferimenti di chi ha effettivamente la rappresentanza sociale nel Paese.

Ma questo è davvero il ruolo che deve ricoprire la Cisl, assumendo posizioni che sono sempre interlocutorie indipendentemente dagli argomenti e da quanto mette il governo sul tavolo? Da sindacalista e contrattualista penso che il tavolo di trattativa vada sempre tenuto fin dove è possibile ma c’è una soglia oltre la quale il sindacato deve passare all’azione perché altrimenti sul tavolo restano sempre solo le briciole. Le manifestazioni indette in questi giorni sono per lo più azioni svolte al chiuso dentro la nostra organizzazione dove quasi sempre parlano solo i segretari generali e non c’è spazio per il confronto, nemmeno dentro la Cisl.

E poi il ruolo storico della Cisl non è quello di “appoggiarsi” al governo di turno e qui sta il valore dell’autonomia sindacale e dell’unità d’azione sindacale, ma quello di essere elemento mediatore tra le organizzazioni sindacali e tra queste e il governo. Un ruolo alto, riconoscibile, forte che consentirebbe alla Cisl di essere soggetto sociale riconosciuto per le idee messe in campo e non per essere schierato in un campo anziché l’altro.

Perciò la Cisl sbaglia strategia e la Cgil ha ragione, ma la Cgil ha torto perché al tavolo e con il confronto con il governo non svolge più la funzione sindacale ma quella di una forza politica, quasi partitica che poi diventa movimentista nelle piazze. Quindi una grande confusione di ruoli il cui obiettivo è indirizzare le politiche del centrosinistra assumendo il ruolo di leadership personale e politica verso gli elettori contrari al governo di centrodestra.

Mentre con il Pci era chiaro chi era la cinghia di trasmissione e chi muoveva le pulegge ora è alta la confusione ma sicuramente è la Cgil che muove le pulegge e la sinistra variopinta dai 5Stelle (ma sono di sinistra?) ad Avs e una parte del Pd si accoda. È evidente che così non solo finisce l’autonomia della Cgil dai partiti ma è la Cgil stessa che vuole farsi rappresentante, la chimera del partito del lavoro da anni teorizzato. Due strategie opposte, inconciliabili, ben rappresentate anche quando il governo non era di centrodestra, penso ai governi Renzi, Letta e Draghi.Un sindacato che sta, comunque, all’opposizione come può firmare accordi con il governo anche laddove fossero vantaggiosi per i lavoratori.

Quindi la Cgil ha torto e la Cisl ha ragione? No perché tutte e due non affrontano due nodi strutturali che consentirebbero di aprire scenari percorribili nel rispetto delle idee reciproche. Il primo è l’unità sindacale e prendere atto che nella situazione data non si farà mai. Qualcuno si cimenti nel prendere tre aziende, con esuberi e farne una sola. Nel 1972, anno quasi idilliaco per il movimento sindacale, la Fim-Cisl fece il congresso di scioglimento nella Flm per consentire la nascita di un sindacato unitario dei metalmeccanici. Fiom e Uilm non lo fecero e la Flm iniziò la sua lenta parabola discendente conclusasi nel 1984 con l’accordo sulla scala mobile.

Non può esserci l’idea, tuttora persistente in Cgil, che dentro l’unità sindacale vi sia un’egemonia culturale, politica e sindacale soprattutto fatta di veti anziché di idee. Oggi le azioni unitarie si basano non su un confronto sindacale di idee ma sul limite che i veti reciproci pongono. Capite che è un’unità sindacale morta e monca, priva di contenuti  tant’è che le piattaforme unitarie sono la somma di posizioni e poi ognuno porta avanti il suo pezzetto.

D’altra parte questo aspetto era già presente nel periodo dell’unità sindacale della Flm dove le discussioni e riunioni per “trovare la quadra” erano estenuanti e infinite. Ma il Paese in crescita sino al 1973, con la crisi petrolifera, consentiva la mediazione perché erano facilitate le rivendicazioni. Oggi si tratta per lo più di gestire crisi e problematiche molto più complesse.

Soluzione al problema è non parlarne più di unità sindacale ma semplicemente di unità d’azione, laddove è possibile costruendo piattaforme unitarie che siano la sintesi e non la somma delle posizioni e poi sottoporle ai lavoratori con dei mandati precisi. Anche gli scioperi, non quelli di opinione ovviamente, dovrebbero, ispirandosi al modello tedesco, essere sottoposti anticipatamente al voto dei lavoratori chiedendo un impegno reciproco: di scioperare i lavoratori, di sostenere la piattaforma il sindacato.

Seconda questione è la rappresentanza sindacale. Se l’unità d’azione non si trova attraverso la mediazione o le piattaforme unitarie presentate e prontamente disattese da tutti serve regolamentare attraverso il consenso, ovvero certificando i voti per le elezioni delle Rsu, bisognerebbe anche limitare al massimo la nomina di Rsa. Stabilire delle eventuali maggioranze sindacali determinerebbe chiarezza anche tra i lavoratori in quanto le singole organizzazioni sindacali di fronte a un accordo dovrebbero motivare il si o il no all’accordo e i lavoratori potrebbero decidere se quell’organizzazione li ha rappresentati bene oppure orientarsi verso altre sigle sindacali. Si determinerebbero delle maggioranze e minoranze nella chiarezza in cui tutti dovrebbero esplicitare chiaramente la propria posizione che forse consentirebbe vere mediazioni invece dello scontro.

Si chiama democrazia.

Infatti il  problema fondamentale è  che le  presunte leadership sindacali negli ultimi anni hanno sterilizzato il dibattito interno, oggi può esistere solo la fedeltà amicale non si può più esprimere un opinione diversa da quella del livello sindacale superiore pena l’estromissione o l’emarginazione. E dire che Giulio Pastore, primo Segretario della Cisl, nel 1952 diceva: “Io non voglio che nella Cisl si crei una specie di cappa di piombo per cui non si possa fare liberamente la critica, fate che il nostro organismo non si conformi, non divenga conformista, perché solo la critica domina il pericolo che ci si incammini e che si vada avanti facendo dei passi sbagliati”

Anziché usare i veri grandi leader della passata Cisl come Giulio Pastore e Pierre Carniti e della Cgil, con  Di Vittorio,  Luciano Lama, Bruno Trentin, per darsi ragione sulle scelte odierne bisognerebbe leggerli per imparare e correggere i propri errori e scelte. Il sindacato confederale ne ha un gran bisogno.

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