GRANA PADANA

Autonomia, il Nord della Lega scalpita. Salvini a Torino con Molinari (e Zaia)

Il Doge incalza: "Non è la secessione dei ricchi, ma l’applicazione dei dettami dei padri costituenti". A fine mese il testo Calderoli in aula. E sabato gran parata con governatori e parlamentari per dare una svolta alla linea del segretario

“Non è la secessione dei ricchi, non mina l’unità nazionale, ma è l’applicazione dei dettami dei padri costituenti”. Due negazioni, un’affermazione e Luca Zaia rispedisce al mittente, destinazione politica a sinistra e geografica prevalentemente a Sud, le accuse che continuano a piovere sull’autonomia regionale differenziata con intensità crescente avvicinandosi il voto europeo, ma ancor prima quello con cui il Parlamento varerà la riforma costruita da uno del mestiere come il ministro per gli Affari Regionali Roberto Calderoli.

Il Doge non parla nel suo Veneto, culla dell’autonomismo pure all’interno del suo stesso partito in cui una vocale fa ancora la differenza tra Lega e Liga, ma all’uscita da Montecitorio dove s’è appena conclusa l’audizione in commissione Affari Costituzionali nell’ambito dell’esame del disegno di legge. “Il giorno dopo l’approvazione dell’autonomia differenziata chiederò a Giorgia Meloni di sottoscrivere l’intesa” aveva detto prima di entrare, sottolineando l’urgenza che la sua regione ha di poter tradurre finalmente in pratica ciò che chiese a gran voce nel referendum regionale del 2017.

Le foto di allora lo ritraggono con lo stendardo di San Marco – “bandiera del Veneto”, ti correggono subito da quelle parti – ma oggi quello dell’autonomia è il tema che può fare la differenza al momento, sempre più prossimo del voto. Lo aveva detto con garbo, ma senza troppi giri di parole, il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari nel recente consiglio federale dove c’era chi spingeva a destra, forse troppo, spiegando che quella era la direzione per affrontare la (ri)salita verso l’Europa. Aveva spiegato, con Calderoli che annuiva, che “l’unica cosa su cui possiamo puntare, che non è né della Meloni, né di Forza Italia, è proprio l’autonomia”. Una linea cruciale per le elezioni europee, ma anche per quelle regionale in Piemonte e, soprattutto, per quel popolo di votanti e militanti che la Lega non può più consentirsi di veder smagrire.

Così sorprende, ma fino a un certo punto, che non nel Nord Est, ma nel Nord Ovest e non nella Lombardia di Salvini e Calderoli (seppur quest’ultimo è coniugato in terra allobroga dove pure coltiva nocciole al pari del governatore Alberto Cirio) ma nel Piemonte di Molinari si sia deciso di tenere quello che si annuncia più di un convegno (dal titolo strettamente didascalico, “Autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario”), quasi le doglie per un parto tanto atteso. A ridosso dell’approdo in Aula, il prossimo 29 aprile, del disegno di legge per la discussione generale, lo stato maggiore della Lega si ritroverà sabato mattina all’auditorium del Museo dell’Automobile all’evento organizzato dal gruppo parlamentare della Camera, insomma da Molinari. Il quale porta nella sua regione, insieme al “padre” della riforma, uno stuolo di deputati tra cui la capogruppo in commissione Elena Maccanti, ma soprattutto i principali fruitori dell’autonomia. E dunque è confermata la presenza di Zaia, così come quella del governatore del Friuli-Venezia Giulia Massimiliano Fedriga, mentre non ci sarà per impegni all’estero il presidente della Lombardia Attilio Fontana rappresentato dall’assessore Guido Guidesi, mentre giungerà a Torino anche il presidente della Provincia autonoma di Trento Maurizio Fugatti.

A concludere il convegno, oltre a Calderoli, ci sarà anche lui, il segretario Matteo Salvini, il quale reduce dalla kermesse dell’ultradestra europea torna, non solo metaforicamente, sulla sponda del Po avvicinandosi a quelle sorgenti negli ultimi tempi forse troppo dimenticate. Un segnale chiaro, ma sfaccettato, quello che Molinari dà con la scelta casalinga del convegno: rivendicare la linea autonomista e federalista come quella indispensabile per non sprofondare nelle urne, segnare una condivisione senza sudditanze o primazie tra Est e Ovest di quel Nord che proprio le ulteriori materie di competenza regionale potranno e dovranno rafforzare nel partito la cui svolta nazionale e nazionalista non ha prodotto grandi risultati.

Un assist in vista del voto regionale. Cinque anni fa, come oggi, in vista del voto fu proprio l’autonomia il cavallo di battaglia su cui la Lega galoppò verso il 37%. L’inizio legislatura venne segnato dalla questione della commissione dedicata all’autonomia, core business di un’azione politica poi in realtà molto annacquata e ulteriormente diluita anche per via del Covid. Alle premesse e promesse non seguì tutto ciò che ci si attendeva e lo stesso presidente della commissione, Riccardo Lanzo, ovviamente leghista, ultimamente è sparito dai radar, tanto da non figurare neppure tra i relatori di sabato (e neppure tra i candidati al prossimo consiglio regionale). Nelle immagini di un lustro fa c’è il drapò, il vessillo piemontese che quasi come il leone di San Marco stava a significare l’obiettivo da raggiungere, la strada tracciata per le Regioni, ma anche e non di meno per la Lega il cui leader, nel frattempo, ha spostato sempre più a destra. Chissà che da Torino non arrivino quei segnali tanto attesi della necessità di riportare il Carroccio dritto verso la strada lungo il Po. 

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