VERSO IL VOTO

Vota Antonio! Ma Tajani corre solo. Allarme preferenze in Forza Italia

Capolista per rafforzare la sua leadership rischia un mezzo flop nel Nord Ovest dove potrebbe finire dietro a Salini e Moratti. Una bella rogna per Cirio, impegnato a sostenere Damilano. Da vicesegretario del partito può sottrarsi dal tirargli la volata?

“Vota Antonio, vota Antonio”. Chissà che ad Alberto Cirio, alla fine, non tocchi dover far per Tajani quel che Totò faceva per sé medesimo nei panni del candidato La Trippa. Già, perché il rischio che il segretario di Forza Italia non raccolga tante preferenze da superare tutti gli altri candidati nella lista per la circoscrizione Nord Ovest viene contemplato come una non improbabile eventualità. Di certo il governatore, quale numero due del partito ha un problema e questo è il numero uno.

Mancare il podio più alto proprio dove c’è uno dei suoi vice, per di più ricandidato alla guida della Regione con la vittoria quasi in tasca, non sarebbe cosa da passare senza strascichi nelle dinamiche del partito alla prima prova europea e dunque non in coalizione, dopo la scomparsa del fondatore. Per il vicepremier e ministro degli Esteri la candidatura come capolista, in tutto il Paese, non è certamente una mossa per attrarre voti, visto che non è propriamente un trascinatore di consensi. Detto brutalmente, di Silvio Berlusconi è solo un pallido succedaneo. E anche come risposta alla sfida non dichiarata dagli altri leader, eccezion fatta per Matteo Salvini e Giuseppe Conte, il pericolo di sfigurare è più che una eventualità. Piuttosto, sullo scacchiere interno alla formazione orfana del fondatore, sembra più la ricerca di un rafforzamento di una leadership poco carismatica, un cementare la legittimazione del ruolo di chi ha raccolto un’eredità senza precedenti. È lui stesso a motivare la sua “discesa in campo” per senso del dovere: “perché è la prima elezione senza Berlusconi ed è mio dovere guidare i candidati di FI verso il successo elettorale. Se il tenente non esce dalla trincea, neanche i soldati escono dalla trincea, diceva mio padre che era un militare... Io devo fare il tenente che esce dalla trincera portare la squadra di FI a un risultato positivo che dimostri che dopo Berlusconi si va avanti”, ha detto ieri in tv a a In mezz’ora su Rai3. 

Molteplici e tutte solide le ragioni per supportare la tesi, condivisa nel partito, secondo cui Tajani non può non arrivare primo ovunque, figurarsi poi dove ha in posizione di potente visibilità e azione politica il suo numero due. Tesi che parrebbe scontrarsi, però, con la dura legge dei numeri che in questo caso sono quelli delle preferenze. Nella circoscrizione che raggruppa Lombardia, Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, di candidati in grado di raccoglierne vere e proprie messi non ne mancano, anzi diciamo che proprio lì starebbe il problema per Tajani. In questa parte del Paese, diviso in cinque grandi aree per il voto europeo, la Lombardia con il suo numero di abitanti elettori notevolmente maggiore rispetto alle altre regioni è anche il territorio dove ci sono i maggiori catalizzatori di voti.

Il pur oscillante borsino dà al primo posto colui che è un riconosciuto fuoriclasse delle preferenze come Massimiliano Salini, tornato a Strasburgo nel 2019 con 37mila voti personali, appena dietro a Berlusconi. Nella precedente legislatura, da matricola, di preferenze ne aveva già raccolte 27mila risultando il primo dei non eletti, posizione che gli consentì di avere lo scranno europeo grazie alla rinuncia dell’allora compagno di partito Maurizio Lupi. Dietro di lui viene indicata la grande novità, ovvero Letizia Moratti che farà abbinate proprio contro di lui, a partire dal ticket con il torinese Paolo Damilano. Lo stesso Salini giocando per fare il primo sarebbe l’ultimo ad avere interesse a trainare il segretario, preferendo giocare in coppia con più di una donna. Dunque, non è affatto campata per aria la domanda che circola ai piani alti di Forza Italia e, in particolare, nell’entourage del vicepremier, ovvero “chi tira Antonio nel Nord Ovest?”. 

Nell’affacciarsi lo spettro di un terzo posto per il leader, gli sguardi allarmati finiscono per concentrarsi proprio su di lui, su Cirio. Il quale come noto sta lavorando sodo, oltre che per la sua riconferma in Regione, per l’amico Damilano come da promessa fatta all’imprenditore dell’acqua e del vino. Ma potrebbe mai, il vicesegretario nazionale del partito, giustificare un flop (come sarebbe il mancato primo posto) del leader nella sua circoscrizione. Basterebbe la volontà e l’esigenza di portare un piemontese in Europa? Ipotesi che scricchiola già fin d’ora di fronte a un Tajani surclassato, sia pure dal riconosciuto mister preferenze o dall’ex sindaco meneghino, o addirittura da entrambi.

Tajani, inoltre, si gioca una partita anche nel Ppe. Secondo alcuni, anzi, il vicepremier che in Europa è stato due volte commissario e dal 2017 al 2019 presidente del parlamento, coltiverebbe la recondita speranza che qualora la spitzenkandidatin del Partito Popolare Europeo, Ursula von der Leyen, dovesse incontrare ostacoli insormontabili, di entrare in gioco come soluzione di compromesso, a quel punto con il sostegno di Giorgia Meloni. Sogno peregrino? Può darsi, ma non va sottovalutata la proverbiale fortuna dell’uomo, nato con la camicia. Per questo non uscire primo in ogni circoscrizione sarebbe uno smacco.

Un bel problema per Cirio, stretto tra l’incudine Tajani e il martello Damilano. Se si spendesse per il primo che è pur sempre il leader del partito e colui che, regnante ancora Berlusconi, s’incaricò della sua investitura ufficiale a candidato governatore cinque anni perorandola non poco fa, Cirio finirebbe per danneggiare il secondo che non nega di spiegare come il vero ticket lui lo abbia proprio col governatore. Nello stesso modo, l’appoggio a Damilano mal si concilierebbe con il sostegno a Tajani. Per ora più che l’opossum fa il pesce in barile.

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