SACRO & PROFANO

Una Chiesa sempre più protestante

Prende piede il modello "boariniano" nella diocesi di Torino con il parroco declassato a collettore delle scelte della comunità. La campagna elettorale del card. Zuppi che sdogana i modernisti. Lo spirito di mons. Olivero. Cronache dalla corte di S. Marta

Dunque, ci siamo. La «proposta formativa» che avrà il compito di attuare nella diocesi di Torino la nuova Chiesa modello “boariniano” è in partenza. Ne ha dato notizia il vicario episcopale per la Pastorale sul territorio don Mario Aversano. Essa è rivolta ai parroci e alle comunità, ai futuri ministri e all’equipe e si articolerà in tre fasi: nella prima «la comunità discerne sull’opportunità di istituire figure ministeriali nel proprio territorio, parrocchiale o interparrocchiale», nella seconda «la comunità individua possibili candidati, in possesso di requisiti per lo specifico ministero», nella terza «il parroco e il candidato prendono un primo contatto con “Percorsi” per valutare i tempi e i modi del coinvolgimento». Il parroco funge quindi da semplice da collettore delle scelte della comunità, se al suo posto ci fosse un laico non cambierebbe nulla. Siamo, come si vede, alla protestantizzazione della Chiesa in cui il ministero non è più legato all’Ordine sacro ed è discendente. Qui si parte dal basso, dalla congregazione o dalla comunità, che stabilisce quali ministeri siano necessari e li forma. Pare si abbiano grandi previsioni di iscrizioni.

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Il vescovo di Pinerolo, monsignor Derio Olivero, è come tutti sanno un esegeta di Franco Battiato e sul cantautore ha scritto una ispirata meditazione in margine al Festival della comunicazione dedicato all’intelligenza artificiale. Dopo aver ascoltato le tredici lezioni il presule si è sentito «decisamente più ricco e motivato perché questa è la sfida: accendere lo spirito. Offrendo momenti intensi, belli, generativi. Di relazione di bellezza, pensiero. Il nostro Paese ha tanta bellezza e tanto pensiero. Paesaggi spettacolari, dipinti, monumenti, musica, tradizioni culturali, fermenti spirituali, feste religiose e riti religiosi. Una miniera da cui attingere per essere più ricchi, ogni giorno. Accesi, mai rassegnati, ancora appassionati della vita». Verrebbe da dire Accende lumen sensibus ma lo spirito di monsignor Derio ha la minuscola e non è lo Spirito Santo. Potrebbe esser lo spirito di hegeliana memoria e cioè i valori della cultura e tutto ciò che nasce dalle relazioni tra gli uomini nella società e nella storia. In ogni caso nulla di soprannaturale che per un vescovo non è poco. 

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Dalla Corte di Santa Marta

Sarà questo il titolo della rubrichetta che darà conto della profluvie di notizie messe in azione da quella vera «fabbrica del chiacchiericcio» – definita dal Santo Padre «cosa da donne» – che è diventato l’antico collegio di S. Marta. Essa necessità però di una spiegazione. Appena insediato, papa Francesco fece sapere che non avrebbe più abitato l’appartamento papale alla quarta loggia del palazzo apostolico definito «roba da psichiatria» – ma avrebbe scelto il residence di S. Marta, un luogo di transito, aperto a tutti, partecipando a mensa con gli ospiti in un clima cameratesco e da compagnoni. Niente più cappella privata per celebrare la Messa quotidiana ma aperta a tutti nella orribile chiesa moderna del collegio. (A proposito, che fine ha fatto, la celebrazione quotidiana con omelia teletrasmessa?) Alcuni, peraltro non ingenui, ci cascarono e così cardinali e monsignori facevano a gara per sedere a tavola con il Santo Padre per pentirsene ben presto quando, dopo una frase in libertà, venivano proscritti e cancellati dal cerchio magico. E i loro nomi sono illustri. Oggi S. Marta è diventata un bunker, anzi una vera e propria corte, che era proprio l’accusa che Francesco rivolgeva ai suoi predecessori, i quali abitavano l’appartamento papale. Oggi per sapere che aria tira a S. Marta, da cui ci cerca di stare alla larga, bisogna essere amici del maggiordomo o, meglio ancora, del cuoco brasiliano sui giudizi del quale si permane o si è trasferiti da qualche ruolo. Da perfetto politico, Francesco ha rivelato che molti preti vanno da lui – incentivati – direttamente a S. Marta senza passare, come un tempo, dalla Segreteria di Stato o dal segretario, per lamentarsi di questo e di quello. Ad alimentare cioè il chiacchiericcio.

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Deposte le polemiche, si possono oggi ricostruire come si sono svolti effettivamente i fatti all’assemblea dei vescovi italiani del 20 maggio scorso dove il papa ha avuto quell’espressione che è stata fatta opportunamente trapelare e sui cui Dagospia ha fatto un memorabile scoop al quale, dopo giorni, hanno dovuto accodarsi, pur obtorto collo, i giornaloni e messo in moto non solo il tribunale del politicamente corretto ma soprattutto lo scatenarsi di una tempesta senza pari per cui si può dire che la sinistra ecclesiale è ancora sotto shock, tanto Vito Mancuso ha dichiarato il fallimento del pontificato bergogliano.

Tutto è nato parlando dell’ammissione dei giovani in seminario in riferimento all’eventuale orientamento omosessuale. La linea era stata definita nel 2005 da Joseph Ratzinger e confermata da Francesco nel 2016: «la Chiesa pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay». In questi mesi però la Cei di Matteo Zuppi aveva approvato un emendamento che cambiava la norma. Quando l’emendamento è stato portato al papa questi lo ha bocciato ed è sbottato nella ormai famosa espressione sulla frociaggine.

A Torino il gruppo dominante si è immediatamente inquietato perché l’uscita papale rischia di aprire antiche ferite e ha ricordato a molti le antiche vicende del seminario dei tempi di Boarino. Infatti, tutti sanno che la narrazione fatta circolare subito per cui preti tradizionalisti uguale omosessuali è falsa e per Torino è vero proprio il contrario.

Ma anche noi nel nostro piccolo, pur non essendo Dagospia, abbiamo un piccolo scoop sulla riunione del 20 maggio. Facendo una panoramica sulle vocazioni in Italia, il papa ha affermato che se il Sud tiene ancora, il Centro-Nord appare semideserto e i seminari quasi vuoti. Fra le eccezioni positive vi sarebbe il seminario della diocesi di Ventimiglia-Sanremo retta dal vescovo monsignor Antonio Suetta. Tale affermazione ha stupito molti e ha fatto alzare il sopracciglio ai vescovi piemontesi ben sapendo – come tutti – che nel seminario della diocesi ligure sono stati accolti alcuni giovani provenienti dalla regione limitrofa.

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Per tornare a Zuppi è di questi giorni di campagna elettorale la discesa in campo della Cei con un documento di critica alla riforma del premierato e all’autonomia differenziata. Ma mentre ai tempi del cardinale Camillo Ruini ci si sarebbe stracciate le vesti e gridato all’ingerenza in materie estranee al magistero ecclesiastico in questo caso Ezio Mauro, già direttore di Repubblica, ha potuto scrivere che con Zuppi, «la Chiesa torna nel cuore del discorso pubblico, partecipando da soggetto attivo». Che è proprio quello che Francesco non vuole e lo ha dichiarato in più di una occasione proibendo l’interventismo dei vescovi in politica, ricordando invece l’impegno e la testimonianza pubblica a difesa della Vita umana dal concepimento alla morte naturale poiché «la posta in gioco, cioè la dignità assoluta della Vita umana, dono di Dio Creatore, è troppo alto per essere oggetto di mediazioni. Sulla Vita umana non si fanno compromessi!». Più che il premierato sarebbero questi i temi della Chiesa e le parole del papa da far arrivare agli italiani e a quei partiti del centrosinistra che al Parlamento europeo hanno votato per introdurre l’aborto nella Carta dei diritti.

La strategia del presidente Zuppi guarda però molto più lontano. Sta partendo infatti una operazione di lungo respiro e cioè la riabilitazione del modernismo, quella «sintesi di tutte le eresie» che San Pio X aveva condannato con l’enciclica Pascendi Dominici gregis e il decreto Lamentabili. Lunedì prossimo 3 giugno lo stesso cardinale arcivescovo di Bologna presiederà in cattedrale una Celebrazione eucaristica in ricordo di Ernesto Buonaiuti (1881-1946), ex prete, capofila del modernismo italiano, e scomunicato vitando.

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