POLITICA & GIUSTIZIA

Piazza San Carlo, pena da ricalcolare. Appendino "appesa" alla Cassazione

Il pg chiede di annullare con rinvio la condanna dell'ex sindaca che in appello prese 18 mesi. Ma l'uniformità delle pene inflitte a tutti gli imputati è un'anomalia da correggere. Alla fine la Corte Suprema potrebbe però decidere di far ripetere il processo

La Procura generale ha chiesto alla Corte di Cassazione di annullare con rinvio la condanna di Chiara Appendino per i fatti di piazza San Carlo a Torino per ricalcolare l’entità della pena. L’udienza, dedicata alla discussione del ricorso degli ultimi imputati, è stata rinviata al 17 giugno, giorno in cui parleranno le difese. All’ex sindaca del M5s erano stati inflitti 18 mesi di reclusione. Pare di capire che l’uniformità della pena inflitta in presenza di soggetti con responsabilità diverse sia stata considerata dal pg una anomalia da correggere. Una delle tante che hanno caratterizzato il procedimento giudiziario separato in due processi, uno con rito abbreviato e un secondo con rito ordinario, e con l’uscita di scena di prefetto e questore dell’epoca. Così come è apparsa sorprendente la motivazione con la quale oggi la stessa procura ha chiesto l’assoluzione del dirigente della Questura Alberto Bonzano poiché non direttamente responsabile dell’ordine pubblico.

A questo punto, dopo l’esposizione delle difese, la IV Sezione della Corte Suprema potrebbe limitarsi ad accogliere l’istanza del pg richiedendo alla Corte d’Appello di Torino la riqualificazione della pena, annullare in toto la sentenza ordinando la celebrazione di un nuovo processo (su cui penderebbe la spada di Damocle della prescrizione già a inizio 2025) oppure pronunciare una sentenza di assoluzione (caso rarissimo, per quanto previsto).

La tragedia risale al 3 giugno del 2017. L’ex sindaca, oggi deputata del Movimento Cinque Stelle, è stata condannata per quello che è successo esattamente sette anni fa. Le accuse sono disastro, omicidio e lesioni colposi per la morte di Erika Pioletti e di Marisa Amato, deceduta 19 mesi dopo essere stata travolta dalla folla, e il ferimento di oltre 1.600 tifosi bianconeri, che quella sera seguivano sul maxischermo la finale di Champions League Real Madrid-Juventus.

Con la parlamentare sono stati condannati il suo ex capo di gabinetto Paolo Giordana, l’ex presidente di Turismo Torino Maurizio Montagnese, l’ex vicecomandante della polizia municipale Marco Sgarbi e il dirigente della Questura Alberto Bonzano. Tutti colpevoli di “un’organizzazione tragicamente e inesorabilmente condizionata dalla ristrettezza dei tempi, dalla conseguente e imperdonabile approssimazione e dalla estrema superficialità delle scelte operate”: così i giudici della Corte d’Assise d’Appello avevano motivato la sentenza di secondo grado, contro cui i cinque imputati hanno fatto ricorso in Cassazione.

L’avvocato Luigi Chiappero e il professor Franco Coppi hanno scritto 72 pagine per chiedere di annullare la condanna di Appendino: “È il primo sindaco a essere stato condannato per una decisione presa senza che alcun campanello d’allarme si levasse per segnalare problemi o necessità di sospendere la manifestazione” è la tesi dei legali. Al contrario, per i giudici della Corte d’Appello, le scelte di Appendino sono “state frutto di un approccio frettoloso e imprudente: non ha tenuto in considerazione i rischi connessi, e negligente, perché non ha vigilato sulla concreta attuazione di tali scelte, trascurando di assicurare il dovuto rilievo anche nella fase di formazione della decisione agli aspetti connessi alla sicurezza”. Non ha bilanciato fra “la pubblica incolumità e il legittimo interesse dei tifosi della Juventus di condividere la visione della finale”.

Lo scorso 3 giugno c’è stata la commemorazione, a distanza di sette anni dalla tragedia che colpì Torino. “Qui tutti i giorni penso a mamma” sono state le parole di Viviana D’Angeo, figlia di Marisa Amato. Una celebrazione cui hanno partecipato sia il sindaco Stefano Lo Russo sia la stessa Appendino.

 

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