SACRO & PROFANO

Vescovi come birilli a Santa Marta, proroga in vista per Brambilla

Papa Francesco li fa saltare a suo piacimento, spesso senza neppure comunicarne le ragioni. Mons. Mestre, è durato a La Plata 8 mesi. In Piemonte pronto il successore di Cerrato ad Asti, mentre a Novara si allungano i tempi. A Vercelli spariscono le Quarantore

Il nuovo nunzio apostolico in Italia, il croato monsignor Petar Rajič, è stato ricevuto nei giorni scorsi al palazzo del Quirinale dove ha presentato al presidente Sergio Mattarella le lettere credenziali e pochi giorni dopo ha partecipato al ricevimento in occasione della Festa della Repubblica e presenziato alla parata militare su via dei Fori Imperiali. Alla nunziatura di via Po lo attendono i dossier per le provviste episcopali delle sedi che a breve si renderanno vacanti. Fra queste le diocesi di Novara e Ivrea dove monsignor Franco Giulio Brambilla e monsignor Edoardo Aldo Cerrato compiranno settantacinque anni, il primo il 30 giugno e il secondo il 13 ottobre. Ma mentre per Novara ci sono voci di proroga, per Ivrea circola già il nome di un prete piemontese. Nome che per adesso teniamo riservato.

***

Sabato 1° giugno si è tenuta a Vercelli la processione cittadina del Corpus Domini. O meglio, se ne è celebrato il funerale. Sì, poiché come al tempo del Covid, ma senza Covid, dopo la Messa non si è più svolta la processione eucaristica esterna, che è stata semplicemente cassata, sostituendola, come riporta il sito dell’arcidiocesi da una minimale «processione interna». Dopo aver celebrato in una cattedrale semideserta, il presule eusebiano, monsignor Marco Arnolfo, accompagnato dai suoi, ha fatto un giretto della cattedrale con il SS. Sacramento, si è recato sul sagrato, ha benedetto la piazza – deserta pure quella – e ha concluso. Fine. La «chiesa in uscita» non ha nemmeno varcato il sagrato, pur trattandosi della celebrazione dell’intera città. Il vuoto siderale però non stupisce: la gente sente l’odore del nulla e resta a casa. Da tempo, infatti, l’inesorabile declino della diocesi – alimentato da un clero anziano e stantio, da un vescovo grigio e da un entourage ad modum episcopi – è ben noto a tutti. E la tiritera dei laici “adulti” e sinodalmente consacrati che dovrebbero sostituire i preti ha nuovamente partorito il topolino: i primi hanno preferito infatti, ancora una volta, fare altro piuttosto che sorbirsi l’ennesima omelia sindacale; i secondi invece assistono sempre, quiescenti e mummificati, all’avanzare del niente. Qualcuno si chiederà se almeno la mutilazione liturgica sia stata compensata dalle nobili Quarantore. Il sito diocesano tace, ma la risposta è scontata: roba vecchia da “indietristi”. E così Gesù Sacramentato non ha meritato nemmeno i “Quarantaminuti” di adorazione. Una cosa però s’è fatta, sempre la stessa da dieci anni a questa parte: si è demolita la Tradizione per un aggiornamento i cui frutti sono sotto gli occhi di tutti. Ite processio non est.

***

Dalla Corte di Santa Marta

Uno dei tratti più sconcertanti dell’autoritarismo del papa è il suo modo di obbligare alle dimissioni i vescovi che non gradisce e che non sembrino seguire la sua linea. Ignorando che nella Chiesa esiste – a garanzia dell’equità e della giustizia – una cosa da nulla che si chiama diritto canonico. Da quando Francesco siede sul Soglio di Pietro non vengono più specificate le motivazioni e i canoni ai sensi dei quali le dimissioni di un vescovo vengono presentate. E così non se sa più nulla, salvo che il malcapitato, in un raro impeto di coraggio e rassegnato alle conseguenze alle quali andrà incontro, non sia lui stesso a renderle pubbliche. Ormai i casi dei vescovi dimissionati in questo modo si contano a decine.

Lunedì 27 maggio la Sala Stampa della Santa Sede ha pubblicato la notizia delle dimissioni di monsignor Gabriel Antonio Mestre, l’uomo scelto da Bergoglio per succedere al suo pupillo, il cardinale prefetto del dicastero per la dottrina della fede, Tucho Fernandez, conosciuto come “besame mucho” e per il famoso discorso sulle «cazzate». Monsignor Mestre ha solo 55 anni ed era pastore di La Plata da otto mesi. Nel suo messaggio di congedo, il presule ha riferito di essere stato convocato a Roma e dopo un confronto con il papa, che avrebbe «percezioni diverse su ciò che è successo nella diocesi», gli è stato chiesto senza tanti complimenti di dimettersi. Quali sarebbero i motivi per cui è stata adottata una misura tanto grave? Nessuna spiegazione è stata data.

A proposito di Tucho, è stato reso noto che nelle settimane scorse questi è volato ad Alessandria d’Egitto per incontrare il patriarca Tawadros II, il papa della Chiesa ortodossa dei copti, che pochi mesi prima era accanto a Francesco in piazza San Pietro. Cosa è successo? A marzo il Santo Sinodo dell’antica Chiesa monofisita emetteva un duro comunicato in cui, a seguito della pubblicazione di Fiducia Supplicans, venivano sospese – dopo decenni di dialogo ecumenico – le relazioni con Roma. Al patriarca copto Tucho ha detto «che non si benedice l’unione tra le persone. Se si presentano insieme, si benedicono le persone, facendo un segno di croce su ognuna e aggiungendo una breve preghiera». Il buon papa Tawadros a tali spiegazioni non ha potuto che allargare le braccia perché, come è noto, nell’ortodossia il patriarca non è che un primus inter pares all’interno del Sinodo che è massimo organo di governo della Chiesa. Nulla a che vedere con il primato di giurisdizione del romano pontefice. Perché per loro la sinodalità è una cosa seria e non un modo per far passare quel che si vuole da parte di qualcuno.

Come avevamo previsto dopo l’esternazione sulla «frociaggine» nei seminari parrebbe sia arrivato, come al solito, il “contrordine compagni”. Diciamo parrebbe perché se si legge attentamente la risposta del papa alla lunga lettera di un giovane della diocesi di La Spezia che lamenta di non essere stato ammesso in seminario in quanto omosessuale, si vede che essa è tutta giocata sull’ambiguità. Sono poche righe in cui il bersaglio è, ovviamente, la mondanità e il «clericalismo mondano» e che si concludono dicendo che nella Chiesa c’è posto per tutti, quindi anche per lui. Attenzione, nella Chiesa, non nel presbiterio. Perché stare nella Chiesa non significa avere un ministero ed entrare nella gerarchia. Insomma, todos, todos, todos ma, infine, Adelante, Pedro, con juicio si puedes.

Ancora un’ultima precisazione, carica di ammonimenti. Venerdì scorso parlando alla plenaria del dicastero per il clero, papa Francesco ha invitato a stare attenti a non pensare al diaconato permanente «come ad un presbiterato di seconda classe». Questo si vedrebbe – ha spiegato – quando alcuni di loro sono all’altare e sembra che vogliano concelebrare». A Torino tale rischio non si correrà perché per sostituire i preti si formeranno direttamente i laici.

print_icon