GRANA PADANA

Vannacci guida la Caporetto della Lega: mezzo milione di voti per il generale

L'ex parà fa il pieno ma affossa la Lega. Nella ridotta di via Bellerio Salvini cerca di allontanare l'immagine della disfatta il partito però è in subbuglio. Nelle prossime ore si attendono segnali dai big nazionali e dei territori

Il sorpasso c’è stato. E l’accelerata di Forza Italia non solo stacca la Lega, ma avvolge Matteo Salvini di una nube di polvere scura, di piombo come il clima che gravava nella notte elettorale su una via Bellerio, spettro di quella che fu nella storia del partito e ritratto di quello che è, da oggi, la sua leadership. Con Salvini, in una sorta di ridotto della Valtellina, solo pochi fedelissimi. C’è l’aspirante avatar Andrea Crippa, il presidente della Camera anima della destra veneta Lorenzo Fontana, il capo della segretaria politica Andrea Paganella, il sottosegretario Alessandro Morelli, il capogruppo a Palazzo Madama Massimiliano Romeo. Fino a tarda notte nessuna dichiarazione ufficiale, Salvini parlerà solo verso le tre.. "Se Vannacci si avvicina al mezzo milione di preferenze, vuol dire che il tratto i strada che facciamo e la nostra proposta sono approvati dagli elettori, leghisti e non leghisti". Cita due anni "molto complicati". Ringrazia "quelli che non hanno mai tradito", spiega che "non mi piacciono quelli che scappano". Racconta dei complimenti fatti "a Giorgia e agli amici di Forza Italia che se prenderanno un voto più di noi vuol dire che sono stati bravi". Rimanda alla mattinata per commentare dati che ancora non sono "numeri veri", come dice lui, ma che sembrano andare verso una sconfitta subita nella sfida lanciata, pur non apertamente dichiarata, da Antonio Tajani su cui pochi avrebbero scommesso, ma anche una disfatta nei numeri anche senza guardare, per un istante, al sorpasso. 

Restare sotto il 10 come non definirla una disfatta? Ma c’è di più. C’è lui, il generale. Nel partito, in tutti quelli tra i maggiorenti che la notte scorsa non hanno varcato la soglia di via Bellerio segnando già plasticamente ciò che probabilmente accadrà da oggi in poi, brucia non meno della sconfitta proprio la vittoria di Roberto Vannacci nelle preferenze. “Le ha prese tutte lui…” diceva un parlamentare nel buio della notte che preluderà ad altre dei lunghi coltelli. “…per forza, il partito ha fatto campagna solo per lui, Salvini poi…”. Non servono complicati algoritmi per attestare che la parola più pronunciata in queste ora tra i leghisti, a parte gli attendenti del Capitano, sia “disastro”. Con la prospettiva, peraltro giù da più parti annunciata, di vedere proprio il Capitano quale attendente di un generale che dopo aver stravinto da indipendente il seggio a Bruxelles nella forza politica sconfitta, potrebbe farsene uno suo, di partito. L’alternativa non rassicura tutta quella Lega che non ha mai digerito, pur dovendola ingoiare, la candidatura dell’ex parà e poi una campagna di Salvini incentrata tutta solo su di lui. Già, perché si tratterebbe di vedere vannaccizzare un partito la cui salvinizzazione con la svolta nazionalista e ultradestrorsa aveva, ancor prima della comparsa del generale, visto crescere un sempre più diffuso malcontento nei confronti del leader, ipotizzando concretamente una resa dei conti dopo il voto europeo.

Che, a questo punto, difficilmente non ci sarà. I presupposti arrivano da lontano, le basi ancor più solide ci sono dalle scorse ore. Nelle prossime sarà più chiaro quanto pesante in termini di preferenze sarà il risultato di Vannacci, ma si capirà anche quanto la presenza del militare avrà sortito, appunto, l’”effetto Vannacci”. Salvini aveva annunciato che il generale avrebbe portato due punti in più. Quindi, non ci fosse stato – secondo questa tesi – la Lega si sarebbe fermata al 6 per cento. Non si sa se per il leader sia meglio vedere confermata o smentita la sua previsione. Comunque sia, “è un disastro”. Sette o otto seggi al Parlamento Europeo, ma la questione è tutta italiana, ancor più nel Nord dove i numeri più certi e dettagliati di oggi potrebbero accentuare ulteriormente quella voglia di cambiare, di tornare senza nostalgie al partito federalista, alla forza politica che rappresenta i ceti produttivi, che s’accalora per i dialetti più che per il linguaggio da caserma e i troppi giochi ambigui di parole. 

Contro Vannacci e contro Salvini era arrivato, a poche ore dall’apertura dei seggi, il ruggito strascicato ma potente nel messaggio, del vecchio leone padano. “La Lega è stata tradita, voterò Forza Italia” aveva detto Umberto Bossi aprendo una breccia a favore di quegli ex leghisti, sempre bossiani, passati nelle liste azzurre, incominciando dal fedelissimo Marco Reguzzoni, per proseguire con gli altri che da mesi lavorano nella componente Forza Nord nel partito di Tajani.

“Se Bossi avesse parlato una settimana prima, l’effetto sarebbe stato molto più pesante”, osservava un esponente di punta della Lega, mentre i dati si avvicinavano a quelli definitivi. Il non detto è che il Senatur ha aspettato troppo. Loro, quelli che la notte scorsa erano lontani da via Bellerio e sempre più dal segretario, di tempo non paiono volerne perdere per quel redde rationem che appare ormai inevitabile. "Non siamo una caserma", avverte Salvini, annunciando il congresso federale entro l'autunno, "chi vuole resta, ci vuole se ne va". E con quel mezzo milione di preferenze del generale, il Capitano mostra tutta la sua intenzione di restare in trincea. Immaginare una soluzione non traumatica per l'eventuale cambio della leaership, ancor più dopo le parole notturne di Salvini, va oltre la fantapolitica.

print_icon