SANITÀ

Costretti a curarsi a pagamento: gli italiani bruciano il 2% del Pil  

La spesa out of pocket per l'anno in corso è stimata in poco meno di 44 miliardi, ma si prevede che nel 2028 sfondi la soglia dei 47. Sempre più prestazioni dai privati per superare i tempi delle liste d'attesa. La relazione della Corte dei Conti in Parlamento

Gli italiani spendono di tasca propria per curarsi qualcosa come il 2% del prodotto interno lordo. La cifra del cosiddetto out of pocket in termini assoluti è prevista, per l’anno in corso, in 43 miliardi e 864 milioni di euro e la cifra ipotizzata per il 2028 arriverà a superare di 323 milioni i 47 miliardi con una progressione, anno per anno, dell’1,9%.

Il dato emerge, con tutto il suo carico di allarme, dalla recentissima audizione della Corte dei Conti in Commissione Affari Sociali della Camera dove sono in corso i lavori relativi alla proposta di legge sul finanziamento e l’organizzazione del servizio sanitario nazionale. Se la previsione è da allarme rosso, va osservato che l’attuale situazione non è certo tranquillizzante. Soltanto dal 2021 al 2023 l’esborso privato dei pazienti è passato da 40 miliardi e 898 milioni a 43 miliardi, bruciando rapidamente ciò che si era risparmiato nel 2020 quando l’arrivo del Covid aveva frenato bruscamente con la riduzione drastica di molte terapie, esami e visite. 

Il rimbalzo non si è fatto attendere e, complice il cumulo di cure arretrate proprio in seguito alla pandemia, l’acuirsi della lunghezza delle liste d’attesa ha finito con il costringere sempre più persone a mettere mano al portafogli per ottenere a pagamento ciò che il servizio pubblico non è ancora in grado di fornire in tempi accettabili.

Una necessità, sempre più spesso, anziché una scelta che, tuttavia, non tutti possono permettersi. Dal rapporto della Corte dei Conti emerge, infatti, come la differenza di reddito accentui quella sulla spesa sanitaria in maniera più alta rispetto ad altri consumi. Chi ha più possibilità spende in media, per curarsi, 4,7 volte rispetto a chi appartiene a fasce di reddito medio-basse. Un aspetto che potrebbe avere ricadute sui nuovi criteri di ripartizione del fondo sanitario nazionale, tenendo conto per ciascuna regione proprio di quei fattori economici e ambientali che alimentano tutt’oggi questa notevole differenza.

Cifre quelle degli ultimi anni e, ancor più quelle previste per l’immediato futuro, che segnano un divario notevole rispetto alla spesa che gli italiani hanno sostenuto di tasca propria in periodi poi non così lontani. Basti ricordare che l’out of pocket nel 2017, ammontava a 30,48 miliardi, salendo poi a 32,29 miliardi nel 2018 e a 34,85 miliardi nel 2019.

Appena tra anni dopo, nel 2022, ogni famiglia ha speso in media 1.362 euro per curarsi, con un aumento di 64 euro rispetto al 2021 e l’incremento, come detto, è destinato a salire fino a sfondare nel 2028 la soglia dei 47 miliardi. Ma a questo dato ne va aggiunto uno, se possibile, ancora più preoccupante: i quasi due milioni di italiani che hanno rinunciato e rinunciano a curarsi perché le loro risorse non consentono di pagare le prestazioni. 

Sempre considerando il 2022 e quindi proiettando in peggio la situazione, in base ai dati dell’Istat il 16,7% delle famiglie ha limitato la spesa per visite mediche e accertamenti periodici preventivi sia in quantità sia in qualità. Anche in questo caso è un’Italia che presente non poche differenze territoriali con una riduzione delle prestazioni a pagamento che se nel Nord Est si ferma al 10,6%, nel Nord Ovest sale al 12,8% con livelli di rinuncia che al centro arrivano al 14,6% con picchi del 28,7% al Sud. Percentuali che portate a media fanno individuare in non meno di 4 milioni le famiglie che nel 2022 hanno limitato le spesa per la salute. E tutto lascia supporre che, a fronte dell’aumento della spesa di tasca propria per la salute stimato dalla Corte dei Conti, anche questo numero di pazienti in tutto o in parte rinunciatari per forza alle cure a pagamento continuerà a crescere e non di poco.

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