A sinistra Centro fuoriluogo

La politica, diceva Guido Bodrato, un maestro del cattolicesimo democratico, è “sempre in transizione”. Ovvero, la politica è un continuo movimento. Come, del resto, la vita. Certo, ci sono dei punti fermi riconducibili ai valori e ai principi sprigionati dalle rispettive culture politiche ma è indubbio che non si possono fissare paletti invalicabili e quindi eterni. È il caso, nello specifico, del profilo e della natura delle singole coalizioni. A cominciare, per esempio, dall’alleanza di centro sinistra. 

Ora, dopo la lunga e feconda stagione politica caratterizzata dalla presenza della Democrazia Cristiana alleata con i partiti di democrazia laica e socialista ma sempre alternativi alla cultura, alla prassi, all’ideologia e al progetto politico incarnati dal Partito comunista italiano, è decollata la cosiddetta seconda repubblica. Dal 1996, cioè da quando decolla il progetto politico e di governo dell’Ulivo. Ma quella alleanza, e i rispettivi governi, erano il frutto di una convergenza tra le forze centriste  rappresentate prevalentemente prima dal Ppi e poi dalla Margherita e da altri soggetti centristi e moderati  e la sinistra post ed ex comunista. E anche con la prima fase del Partito democratico questo impianto è stato del tutto rispettato. Oserei dire con un perfetto equilibrio politico, culturale e programmatico.

Ma, visto che la politica è, appunto, transizione e cambiamento continui, anche le coalizioni si trasformano. E profondamente. E, sempre per fermarsi alla tradizionale alleanza di centro sinistra, non possiamo non cogliere che siamo passati da una coalizione di centrosinistra ad una alleanza schiettamente di sinistra. Del tutto legittimamente e anche in perfetta sintonia e coerenza con i progetti politici dei partiti che compongono quella coalizione. E cioè, la sinistra radicale e massimalista della Schlein, la sinistra estremista e fondamentalista del trio Fratoianni/Bonelli/Salis e la sinistra populista e demagogica dei 5 stelle.

È di tutta evidenza che in un’alleanza del genere, che è perfettamente omogenea e compatta anche sul versante culturale e valoriale, la presenza del Centro  cioè dei movimenti e dei partiti centristi, riformisti e moderati  è del tutto fuori luogo. Perchè, semplicemente, fuori campo. E, non a caso, la politica e la cultura di centro non possono riconoscersi in una alleanza che si auto definisce “Fronte popolare”. Ed è appena sufficiente rileggere la storia politica del nostro paese per rendersene conto. I due precedenti del cosiddetto “Fronte popolare” sono stati quelli del 18 aprile 1948 guidato dal “migliore”, cioè il leader storico del Pci Palmiro Togliatti e la “gioiosa macchina da guerra” condotta dall’ex comunista Achille Occhetto nel 1994. In entrambi i casi, come ovvio e scontato, il Centro stava altrove. E così è, puntualmente, anche nell’attuale stagione politica. Le 3 sinistre che caratterizzano la coalizione progressista attuale non contemplano al suo interno altre forze. Fuorchè si pensi, goliardicamente, che il piccolo partito personale di Renzi, dopo l’ultima, clamorosa ed ennesima piroetta politica del suo capo, possa rappresentare il Centro da quelle parti. Al massimo, come noto, si concede un piccolo “diritto di tribuna” per salvaguardare gentilmente il seggio parlamentare a qualche rappresentante di un contemporaneo “partito contadino”. 

Ecco perchè, oggi, chi vuole ricostruire e rilanciare il Centro e una ‘politica di centro’ non può che guardare altrove. Per coerenza politica innanzitutto ma anche, e soprattutto, per non disperdere un patrimonio culturale e programmatico che, comunque la si pensi, ha contribuito a costruire e a consolidare la democrazia nel nostro paese. Il tutto attraverso alleanze politiche coerenti e lungimiranti, come ci insegna la stessa storia democratica del nostro Paese. 

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