LA SACRA RUOTA

Chiusure di fabbriche e licenziamenti. Ecco i piani di Tavares per Stellantis

L'ad non esclude interventi drastici: "Non scarto nulla", afferma il manager. Con la concorrenza della Cina ben 7 impianti di assemblaggio europei dovranno essere dismessi. Intanto il gruppo precipita al 20° posto nella classifica mondiale dei produttori

Future soppressioni di posti di lavoro? “Non scarto nulla”. Non promettono nulla di buono le parole che l’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, ha pronunciato questa mattina ai microfoni di radio Rtl al Salone dell’Auto di Parigi. “La salute finanziaria di Stellantis non passa unicamente dalla soppressione di posti” ma “passa attraverso tante altre cose: immaginazione, intelligenza, innovazione. Che è quello che stiamo facendo”, ha assicurato il manager portoghese, garantendo che la soppressione dei posti di lavori “non è al centro della nostra riflessione strategica”, ma “al cuore della nostra riflessione strategica c’è rendere i nostri clienti felici, attraverso la qualità dei nostri prodotti, attraverso l’innovazione delle nostre tecnologie, e dalla dimensione accessibile della nostra mobilità che deve essere pulita”.

Che il capo della multinazionale franco-italiana non escluda tagli occupazionali e addirittura paventi la chiusura di alcuni siti dei diversi marchi del gruppo dinanzi all’avanzare della concorrenza cinese, che a suo avviso non sarà frenata dall’aumento delle tariffe Ue, emerge anche da un’intervista rilasciata al quotidiano francese Les Echos. “Non si può escludere nulla”, ha affermato Tavares alla domanda se vi sia l’intenzione di chiudere alcuni stabilimenti dei marchi Stellantis. “Se i cinesi al termine della loro offensiva conquisteranno il 10% del mercato europeo, ciò si tradurrà in 1,5 milioni di veicoli. Pari a sette impianti di assemblaggio. I costruttori europei saranno costretti a chiuderli o a venderli ai cinesi. Di questo nessuno parla”, ha sottolineato l’ad. Ma, secondo Tavares, “la chiusura delle frontiere ai prodotti cinesi è una trappola” perché' i cinesi “aggireranno le barriere investendo negli stabilimenti in Europa”, in parte grazie ai “sussidi statali” garantiti dalla Cina. “A quel punto”, ha rimarcato l’amministratore delegato del gruppo automobilistico, “nessuno dovrà stupirsi se bisognerà chiudere alcuni siti per adeguarsi alla capacità produttiva in eccesso”.

Nel mirino dei sindacati, americani e italiani, strapazzato dai politici nella recente audizione al parlamento, ormai avviato sulla via dell’uscita dal gruppo, il manager ostenta però tranquillità. “Non sono amareggiato. Alcuni dicono che non possiamo tagliare i costi perché la forza lavoro di Stellantis è al limite. Se questo dovesse essere il caso, ovviamente ne terremmo conto per proteggere i dipendenti – ha affermato nell’intervista al quotidiano francese –. Ma allo stesso tempo, non vedo come possiamo resistere a concorrenti che, dal punto di vista tecnologico, sono altrettanto bravi o addirittura più forti di noi, e che costano il 30% in meno, se non posso tagliare i costi. Ciò che potrebbe amareggiarci è vedere che l’ovvio non entra nella testa di certi decisori”.

“Dopo alcuni giorni di agitazione nei media sulla mia successione, il sostegno unanime del Cda e del suo presidente John Elkann ha permesso a tutti di ritrovare la concentrazione e di lavorare con calma fino alla scadenza del mio contratto, all’inizio del 2026 – afferma –. Questo ci dà tutto il tempo necessario per fare progressi su una serie di questioni operative con un team rivisto secondo il principio dell’efficienza. I tempi che il nostro settore sta attraversando ci impongono di avere le persone migliori nelle posizioni chiave”. Il Ceo spiega che la società si trova ad affrontare “una situazione brutale, unica per noi. In un contesto molto turbolento, ci abbiamo messo del nostro fallendo il nostro piano di marketing americano nel secondo trimestre. Abbiamo provato qualcosa di innovativo, ma non ha funzionato. Ci è voluto molto tempo per uscirne. Più di quanto ci aspettassimo. Abbiamo dovuto affrontare il fatto che non potevamo ottenere i risultati che avevamo previsto, ma da settembre stiamo recuperando quote di mercato. Abbiamo già ridotto le scorte della nostra rete di 52.000 unità, portandole a 378.000 vetture. Puntiamo a un'ulteriore riduzione di 48.000 veicoli entro la fine dell’anno. Questo è fattibile”.

Un quadro nel quale spicca, in termini ancor più negativi, la situazione italiana. L’Italia, dunque il gruppo Fiat, è passata tra i primi posti dei paesi costruttori di automobili fino agli anni '90, al 20esimo posto nel mondo nel 2023, dunque già Stellantis, prima della Malaysia e dopo l’Iran. La Francia è al 12esimo posto. Addirittura, le due nazioni dove è nata Stellantis sono superate dalla Spagna all’ottavo e dalla Germania al sesto. Naturalmente ai primi posti troviamo Cina, Usa, Giappone, India, Corea. Come ricorda un recente studio Federsviluppo di Federcontribuenti a proposito della richiesta di aiuti del supermanager francese, che il gruppo Fiat ha ricevuto dal 1975 al 2012 ben 220 miliardi di euro di contributi pubblici, “soldi dei contribuenti italiani”. Solo nell’ultimo periodo sono stati erogati ,5 miliardi di incentivi e 703 milioni per la cassa integrazione e in cambio le nuove produzioni – Topolino, Alga e grande Panda – vengono prodotte in Algeria, Marocco, Serbia e Polonia.

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