Manca la Dc. Ma soprattutto il Pci

C’è poco da fare. Ogni qualvolta si fa un seppur piccolo riferimento al passato, anche i più spietati e radicati detrattori rimpiangono la stagione in cui c’era un partito di centro che garantiva la governabilità dell’intero paese con una classe dirigente autorevole, una cultura politica solida e che, soprattutto, coltivava un progetto politico chiaro ed immediatamente percepibile dalla pubblica opinione. Cioè la Dc. E, specularmente, si rimpiange anche un altrettanto autorevole partito di opposizione, il Pci, il più grande partito comunista dell’Occidente. Certo, era un’altra stagione storica, politica e culturale. Irripetibile, come ovvio. C’era la cosiddetta “conventio ad excludendum” nei confronti dei comunisti al governo ma, comunque sia, la democrazia dell’alternanza era garantita e certificata dagli elettori. Perché, alla fine, anche se vigeva una forte e smaccata contrapposizione ideologica tra i due schieramenti, frutto e conseguenza degli equilibri europei ed internazionali, è indubbio che la divisione era squisitamente politica e sul progetto di governo. Detto in altri termini, era la politica la vera protagonista della contrapposizione tra i partiti – nello specifico tra i due grandi partiti popolari e di massa, cioè la Dc e il Pci – senza accampare motivazioni di altro genere.

Ora, e al netto della profonda diversità storica dei due contesti, è indubbio che l’assenza di un partito centrale e centrista come la Dc pesa enormemente ai fini della stabilità e della governabilità del nostro sistema politico. Ma è sul versante della sinistra, seppur nelle sue diverse e multiformi espressioni, che l’assenza di un partito come il Pci si fa sentire con maggior forza. Al punto che siamo quasi costretti a rimpiangere quel vecchio partito per come declinava concretamente la sua iniziativa politica nel contesto pubblico del nostro paese. Perché, anche se c’è un seppur flebile filo rosso che lega quella sinistra con quella contemporanea, è abbastanza evidente che l’attuale sinistra – quella radicale e massimalista della Schlein, quella populista e demagogica dei 5 stelle e quella estremista e fondamentalista del trio Fratoianni/Bonelli/Salis – vive prevalentemente, se non quasi esclusivamente, all’insegna della sola demonizzazione dell’avversario/nemico. Una demonizzazione che finisce nella sostanziale delegittimazione morale e politica del nemico con l’unico epilogo di non riconoscere alcuna credibilità politica alla controparte. E, non a caso, ogni giorno – per non dire ogni ora – ascoltiamo la solita litania della sinistra sulla “deriva illiberale”, la “torsione autoritaria”, la “minaccia ai valori e ai principi della Costituzione”, la “sospensione della democrazia” e addirittura il “possibile ritorno di un regime semi fascista” tutti riconducibili all’azione politica dell’attuale centrodestra di governo. Diventa, oggettivamente, difficile declinare una sana, corretta e fisiologica democrazia dell’alternanza in un contesto politico del genere. Perché non passa giorno che non venga lanciato un “allarme democratico” sulla tenuta del nostro Paese contro una possibile “deriva fascista”.

Ecco perché, al di là e al di fuori di qualsiasi regressione nostalgica, cresce anche e soprattutto il rimpianto della vecchia esperienza del Pci. Se non altro la contrapposizione e l’alternativa alla Dc erano dettati sempre da motivazioni politiche. Oggi, purtroppo, l’alternativa si carica di un retaggio ideologico e di una contrapposizione politica frontale frutto e conseguenza della presenza di fantasmi che, per fortuna, esistono solo nella testa di chi li propaganda ogni giorno. Ma quello che rischia di pagarla veramente – a fronte di questa decadenza – è la qualità della democrazia, la credibilità delle istituzioni e la serietà e trasparenza della nostra politica.

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