Un Draghi per Torino

Quando nel 2016 i torinesi votarono Chiara Appendino diedero in maggioranza un segnale di forte discontinuità verso la conduzione delle amministrazioni che l’avevano preceduta. Dopo gli indiscutibili successi ottenuti con Valentino Castellani e i suoi amministratori via via si esaurì la spinta progettuale e di leadership comunale. L’esemplificazione data dal successo delle Olimpiadi invernali del 2006 fu solo uno dei simboli di quella fase feconda, ma il percepibile cambiamento della città e nella città non fu un risultato da meno di cui giovarsi per alcuni anni. La rinuncia alla ricandidatura dell' Appendino segna il fallimento non del solo operato di chi l’ha guidata, ma l’indicatore di un deficit di cultura amministrativa e di governo, che non si può celare neppure dietro il paravento della “decrescita infelice”.

Torino è precipita più velocemente di molte altre metropoli in una crisi economica, sociale e demografica, nella totale assenza di idee, progetti, indicazioni di prospettive oppure peggio contrastando e rallentando quelle a disposizione. Assenza di idee, idee sbagliate, idee mal applicate alla realtà. Nessuna replica di questa vacuità è includibile in un progetto alternativo. Con l’arrivo di Alberto Cirio la Regione ha spostato per scelta l’asse della sua azione riequilibrando sul resto del territorio regionale. Torino è più sola a combattere la battaglia decisiva per il proprio futuro.

Da dove ripartire per recuperare energie, risorse e progetti di sviluppo? La proposta formulata da Silvia Fregolent di cercare un “Draghi torinese” merita attenzione, se non altro perché mette chiaramente in luce come la crisi di Torino non si possa affrontare secondo schemi politicamente superati e senza mettere in campo tutte le risorse di cui questa città disponga. L’esperienza Draghi insegna altresì come l’area riformista liberale e democratica (FI, Azione, IV, + Europa più forze civiche, sociali e intellettuali) debba prodursi in uno sforzo per mettere in campo un soggetto in grado di raccogliere il successo indiscutibile di aver contribuito in modo determinante a far nascere un governo di cambiamento, senza offrire agli elettori un contenitore sufficientemente ambizioso per convogliarvi i propri consensi. Non ragionare su questo rischia di essere esiziale per le sorti di questa area politicamente strategica nei futuri assetti di questo Paese.

Non ci può essere vera novità, se la dialettica politica si svolge tra soggetti superati, che hanno una innata tendenza a autocontraddirsi ripetutamente tra alti proclami ideali e un pragmatismo riduttivo e modesto. Chi si candida a guidare la città deve essere fortemente cosciente che la dimensione sulla quale dovrà esercitare la propria leadership dovrà essere quella dell’area metropolitana, dove i segnali di vitalità e la qualità amministrativa si dimostrano più presenti, ma con forza sistemica insufficiente. Occorre modificare la normativa che oggi ha creato il monstre politico amministrativo della Città Metropolitana, un ente informe e inefficace, ma soprattutto non democratico, nel frattempo chi sarà alla guida della città, dovrà sopperire con l’azione politica a questa carenza.

A Torino non si dialoga più, mentre il confronto è il master universitario della scuola di politica, la politica non assolve il suo primato, sono state smantellate tutte le sedi di confronto tra gli attori economico sociali e la politica, mai come oggi si sente così forte l’esigenza di mettere a confronto le classi dirigenti di cui dispone Torino per farle crescere insieme e disegnare un nuovo Piano Strategico di Sviluppo. Unirle per avere forza di contrattazione con il Governo centrale, ottenere risorse finanziarie, a partire dall’utilizzo di quelle che potranno provenire dall’UE attraverso il Next Generation UE.

C’è ancora spazio per due schieramenti oppure rischiano di essere la caricatura di un bipolarismo ucciso in culla? Vedremo, ma da ciò derivano le nostre pregiudiziali sulle quali il Pd è reticente a rispondere in modo chiaro ed inequivoco al punto che non abbiamo escluso di correre da soli. Mentre è chiaro il contorno nel quale ci si dovrà misurare è quello civico, nazionale, europeo e internazionale. Il candidato dovrà essere, al di là di come lo si potrà individuare nel difficile contesto sanitario dei prossimi mesi espressione di un accordo, di un patto fatto a Torino, dotato e circondato della necessaria esperienza amministrativa e conoscenza della macchina comunale, capace di essere leader e non capo solitario, capace di escludere chi si oppone allo sviluppo e capace di includere chi si candidata a dare il proprio contributo fattivo. Capace di costruire intorno a sé una squadra di governo e un clima di coinvolgimento e partecipazione, che è quanto è mancato sino ad ora. Non serve un tecnico, ma serve un civil servant, consapevole della propria indispensabile funzione politica.

* Alberto Nigra, responsabile Enti Locali Azione Piemonte

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