Lavoro e profitti al tempo di Stellantis

A sentire Stellantis, addio alle promesse di sviluppo occupazionale degli stabilimenti italiani. Lo sviluppo dovrà tener conto solo del tornaconto aziendale. In un documento, non ancora pubblico, il colosso dell’auto, nato dalla fusione di Fca e Peugeot, quantifica il numero dei tagli di personale da fare nelle fabbriche italiane da qui al 2024. Un taglio drastico di 12 mila dipendenti, tra operai e impiegati, sui 66 mila attualmente in forza alla Stellantis, pari al 18 per cento dell’intera forza lavoro. Si noti bene, il piano di ristrutturazione in itinere va di pari passo ai conti record dell’azienda comunicati pochi giorni fa.

Solo nel primo semestre di quest’anno Stellantis vanta ricavi di 75 miliardi e un utile operativo di 8,6 miliardi. Una montagna di soldi che sarà distribuita in dividendi agli azionisti e andrà a rimpinguare i già enormi guadagni dei top manager. “Sono un manager molto felice”, questo il commento a caldo dell’amministratore delegato Carlos Tavares dopo l’’ufficializzazione di questi dati strabilianti. Non c’è da dubitare che felici saranno anche gli altri grandi azionisti a cominciare dalla famiglia Agnelli detentrice del 14,4 per cento del capitale.

Di tutt’altro segno i pensieri e i sentimenti di decine di migliaia di lavoratori ancora una volta nel mirino dei piani di ristrutturazione aziendali. Piani basati come sempre su una filosofia sfrontata della lotta di classe condotta dai padroni: i profitti hanno il sacrosanto diritto di crescere a dismisura a spese dell’occupazione, dei salari e dei diritti, perché è così che si rafforza la competitività globale. Gli stabilimenti italiani devono produrre profitti, punto e basta. Se invece qualcuno ha la pretesa di mettere in primo piano questioni che attengono alla redistribuzione della enorme ricchezza prodotta, alla riduzione del tempo di lavoro a parità di salario, all’occupazione, ai diritti del lavoro, in una parola che attengono alla produzione di plusvalore, questo qualcuno è messo fuori gioco come nemico dell’economia, della crescita.

Il fatto è che questa filosofia della lotta di classe ha sempre goduto di grandi sponde politiche. Le forze politiche e di governo non hanno mai trovato nulla da ridire sui progetti Fiat, Fca, Stellantis, anzi li hanno generosamente accompagnati e foraggiati. Progetti a senso unico, senza contropartite in termini occupazionali e salariali. Non solo. Lo stesso confronto tra impresa e sindacato – pensiamo in particolare all’attendismo o collaborazionismo dei sindacati gialli - è avvenuto in questi anni sulla base di tempi, modalità, piani stabiliti dai vertici aziendali. Un motivo in più di soddisfazione a sentire Tavares: “La qualità del dialogo con il sindacato e governo è molto alta”. 

Checché se ne dica è ora di dire basta a questo gioco a perdere prima che sia troppo tardi. Nulla giustifica il gigantesco spostamento che è avvenuto della ricchezza prodotta dalle tasche dei lavoratori a quelle degli azionisti di Stellantis. Nulla giustifica l’ulteriore riduzione dell’occupazione e del monte salari a vantaggio dei profitti e delle rendite. Propositi semplicemente scandalosi. Oggi più che mai occorre tornare a parlare di lavoro non solo di mercato. Il mercato è cieco, totalmente disinteressato alla vita delle persone se non per farne oggetto di sfruttamento. Ed ancora, più che mai, occorre tornare a lottare se si vuole ricomporre la solidarietà e le tutele collettive che sono state compromesse dalla precarietà e dalla concorrenza coatta tra lavoratori ridotti a merce.

*Ezio Locatelli, segretario provinciale di Rifondazione Comunista di Torino

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