Libertà è partecipazione

Illustre Direttore,
ancora una volta spero voglia accogliere sul giornale da lei diretto, questo scritto che ho titolato, mutuandolo da una bellissima canzone degli anni ’70: “La libertà è partecipazione”. Il grande Giorgio Gaber cantava così: “Vorrei essere libero, libero come un uomo, vorrei essere libero come un uomo, come un uomo appena nato che ha di fronte solamente la natura, che cammina dentro un bosco, con la gioia di inseguire un’avventura. La libertà non è uno spazio libero, la libertà è partecipazione”. Una canzone nata durante gli anni cruenti, infuocati dalle lotte sociali, ma ritornata di assoluta attualità proprio in questi ultimi mesi. Occorre ridare il senso originale di quelle parole e cioè che la mia libertà è tale se nella collettività, cioè nella partecipazione alla vita di comunità.

Mi è venuta in mente sabato 6 novembre partecipando alla manifestazione organizzata dal Comune di Mazzè che ha visto la partecipazione di alcune centinaia di persone: bambini, anziani, donne e uomini, amministratori locali del basso Canavese e del Chivassese, un paio di consiglieri regionali e una sola rappresentanza del Parlamento: l’On. Jessica Costanzo.

Sì, è stata una bella giornata, non solo dal punto di vista meteorologico, ma perché ha visto uniti e compatti, senza sbavature, senza intolleranze tante persone. Però se devo essere sincero sino in fondo, com’è nel mio stile, sono rimasto anche un po’ deluso perché mi aspettavo molto di più. Arrotondiamo per eccesso: 1.000 persone presenti su una popolazione di ben oltre i 50.000 residenti (basso Canavese e Chivassese): siamo al di sotto del 2%.

A Scanzano Ionico, in provincia di Matera, il 13 novembre 2003 prese il via una protesta dalle proporzioni indite. Era stata la risposta dei lucani al Decreto Legislativo 314 con il quale il Governo Berlusconi dava il placet al Deposito Unico delle scorie nucleari. Per 15 giorni consecutivi le pratiche di resistenza si manifestarono su due livelli: quello istituzionale, che ha visto mobilitarsi parlamentari, il presidente della Regione Basilicata con tutti consiglieri regionali e provinciali, tutti i sindaci del territorio; e quello dell’enorme mobilitazione popolare: 100.000 (centomila). Tutto questo nel sud d’Italia, in un territorio assolutamente più idoneo, per la sua configurazione geografica e geologica, del TO-10.

La vera causa della scarsa partecipazione popolare di sabato è data dalla totale assenza di informazione da parte di alcune amministrazioni comunali, soprattutto nel comune più grande del nostro territorio, cioè Chivasso e le sue frazioni – con la sola eccezione di Mandria, alla quale va il nostro plauso per l’impegno dimostrato in questi mesi e confermato sabato.

Il Comitato “Io mi rifiuto-No scorie nucleari” ha fatto quanto nelle sue possibilità con presenza sui social media e sui giornali locali; ma da parte dell’amministrazione comunale il silenzio più totale, non una presenza sui giornali, sulle Tv, con manifesti affissi in ogni luogo: niente di niente, non a caso, mentre annunciavo la manifestazione “speakerand” per le vie della città e di tutte le frazioni, mi fermavano per strada per ringraziarmi non essendo a conoscenza del problema e quindi anche della manifestazione. 

L’unica attenuante, invece, la possiamo trovare nel fatto che, per fortuna nostra, ad oggi non siamo ancora all’emanazione di un provvedimento legislativo ma alla vigilia delle consultazioni – che si terranno a metà mese – programmate da Sogin, per quanto riguarda gli 8 siti indicati come idonei nel nostro Piemonte, di cui due in Provincia di Torino: Carmagnola e Mazzè.

Sulla necessità di creare un Deposito Nazionale per le scorie radioattive non si sollevano obiezioni, data anche la situazione di pericolosità dei depositi sparsi in tutta Italia, ed in particolare a Saluggia (Vc), dove sono stoccati l’80% di quelle più pericolose e per quanti rischi abbiamo corso negli ultimi vent’anni. Anche solo questo mi farebbe e lo dico a chiare lettere: “il Piemonte ha già dato!”.

Il punto cruciale è che esistono due categorie di rifiuti radioattivi e che il deposito proposto è a norma solo per quelli a bassa densità, per cui l’affermazione: “Nel deposito nazionale saranno smaltiti i rifiuti radioattivi a molto bassa e bassa attività il cui isolamento deve essere assicurato per un periodo di circa 300 anni”, trae in inganno.

Subito dopo, però, Sogin precisa che: “nel Deposito Nazionale saranno stoccati temporaneamente i rifiuti a media e alta attività: ossia quelli che perdono la radioattività in migliaia di anni”.  Questo Deposito “provvisorio di lunga durata” (??), denominato “Complesso Stoccaggio ad Alta Attività (Csa)” ospiterà 17.000 metri cubi di scorie ad alta intensità, sistemati in contenitori collati in superficie, come il resto del deposito nazionale, sia pure “progettati per resistere ad una serie di incidenti naturali e antropici”. Ma Sogin non fa alcun riferimento e ad alcuna valutazione sulla qualità e possibilità di tali incidenti.

Tutti i depositi di scorie nucleari esistenti oggi in Europa, sono per scorie radioattive a bassa attività (in Francia: depositi di La Manche ed Aube; in Spagna di El Cabril; in Germania ad Asse e Konrad, altri simili in Belgio e Slovenia.

Se questa tipologia di rifiuti nucleari può essere stoccata in depositi costruiti in superficie, i depositi per le scorie nucleari a media e alta densità richiedono gallerie a 450 metri di profondità in formazioni geologicamente stabili per periodi da centinaia di migliaia di anni ad un milione di anni, come il deposito di Onkalo in Finlandia ormai praticamente ultimato e quello analogo in Svezia. Per il resto d’Europa si è un po’ più indietro. Gli Usa, dopo aver speso alcuni miliardi di dollari di Yucca Mountain, con gallerie a 300 metri di profondità, hanno abbandonato il progetto con la presidenza Obama, perché non abbastanza sicuro e stanno studiando una soluzione alternativa. Le loro scorie restano disperse in 121 siti e non si è ritenuto opportuno radunarle anche solo parzialmente. Non esiste in tutto il mondo occidentale un deposito unico per entrambi le fattispecie di scorie! Cosa vuol dire “deposito provvisorio di lunga durata”? È una contraddizione in termini, soprattutto in un Paese, come l’Italia, nel quale il provvisorio sia perlopiù definitivo! Di esempi ne abbiamo tantissimi.

Vengo ora al Sito TO-10 di Mazzè (Caluso, Rondissone). Esso dista da Tonengo (Mazzè) e Mandria (Chivasso) 1.000 metri, quando in tutti gli altri Paesi occidentali le distanze sono nella misura di decine e decine di chilometri. Qui, nel raggio di 7,5 Km abitano 60.000 persone; a 20 chilometri risiede un milione e mezzo di persone, perché c’è anche Torino. Cosa vuol dire, come scrivono Sogin/Isin, “distanza adeguata”? Adeguata a cosa? Anche la mozione parlamentare approvata nel maggio scorso non ha fatto chiarezza.

Le indagini geologiche effettuate da docenti universitari, le cui conclusioni sono state messe nero su bianco tra le osservazioni presentate dai Comuni di Mazzè e Rondissone, risulta una carenza vergognosa da parte di Sogin/Isin, nel non aver rilevato che sul nostro territorio la presenza di falde superficiali le cui acque confluiscono nella falda profonda che scendendo verso Po, seguendo il percorso della Dora Baltea, va ad alimentare l’acquedotto del Monferrato. Anche solo queste due osservazioni – distanza e falde (superficiali e profonda) – non rilevate da Sogin/Isin tra i criteri di esclusione, pur essendolo, fanno escludere in termini chiari e inequivocabili questo sito tra quelli idonei.

Tuttavia, non dormiremo sonni tranquilli, perché la nostra vicinanza a Saluggia temiamo trasformi l’oggettività delle nostre argomentazioni, in soggettività/opportunità di natura esclusivamente economica, anche a scapito della salute nostra, dei nostri figli e nipoti per generazioni e generazioni. Ma venderemo cara la pelle se fosse necessario!

La ringrazio e La saluto.

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