Un vescovo felice e sempre disponibile

Mi permetto di scrivere in gentile ed educata risposta all’assai meno delicato vostro articolo sul governo della Chiesa biellese. Mi presento, sono Lorenzo Iorfino, giovane studente biellese di Comunicazione Sociale Istituzionale a Roma, ma soprattutto giovane cristiano.

Ho avuto modo di conoscere mons. Roberto Farinella durante il famigerato lockdown di aprile 2020, al tempo collaboravo con una televisione locale e, visto che a nessuno era permesso andare a Messa, trasmettevamo le celebrazioni domenicali per i fedeli impossibilitati a seguirle diversamente. Era il periodo di Pasqua, il momento più importante e significativo dell’anno liturgico, per cui la necessità di sciogliere l’inghippo del non poter partecipare alla vita attiva della Chiesa era da risolvere urgentemente. Io allora facevo il cameraman e scrivevo qualche servizio per il telegiornale locale, ricordo che mons. Roberto una domenica al termine della Celebrazione Eucaristica mi prese da parte e in un surreale duomo vuoto mi chiese di aiutarlo a cercare di essere più vicino alla gente utilizzando i nuovi mezzi di comunicazione digitale. Da quel momento è nato un bellissimo rapporto di collaborazione e profonda stima, che col tempo è maturato anche in affetto e sincera amicizia. Ed è conoscendo più a fondo mons. Roberto che mi sono reso conto di come la sua stessa vita sia la testimonianza più grande che possa consegnare al mondo. Non tante omelie pompose e piene di aulici riferimenti da far addormentare anche i più volenterosi, non gesti eclatanti da commuovere stuoie di fedeli, non diktat rivoluzionari né tantomeno autoflagellazioni pubbliche, semplicemente la bellezza della quotidianità di una vita in Cristo. Ed è la cosa che conta di più.

Non sono importanti solo grandi i manager con lo zucchetto in testa, ci servono anche e soprattutto uomini di vera fede, capaci realmente di prendersi cura della salvezza delle anime, di condurci sulla via della felicità, sulla via del Signore. E mons. Roberto è sicuramente uno di questi. In un mondo ahinoi sempre più secolarizzato una persona di questo tipo è una vera ricchezza e rarità. È un vero leader, non un manager, si sporca le mani e accompagna il gregge verso la salvezza.

Naturalmente gli esempi a sostegno di questa tesi sono innumerevoli, partendo da quelli che ho visto con i miei occhi fino a quelli raccontati da chi mons. Roberto lo conosce da molto più tempo di me. Tutte le volte che una persona ha bisogno di parlare con il vescovo questi lo riceve, non dall’alto della sua cattedra, ma con grande semplicità e umiltà in un salone accogliente e famigliare, preparando e servendo personalmente il caffè, elemento immancabile in vescovado.

Mons. Farinella è tranquillamente capace di salire tre volte nella stessa giornata al Santuario d’Oropa per accogliere altrettanti gruppi di pellegrini e pregare con loro. Invita i ragazzi che si stanno preparando alla cresima a venirlo a trovare in vescovado, li aspetta impaziente in cortile e alla fine dell’incontro prepara loro, con la complicità delle due suore messicane che vivono con lui, un felice rinfresco al termine del quale spazza via le briciole sul pavimento non per buttarle ma per darle ai “pajaritos” che vivono nel giardino e nel sottotetto. Mons. Roberto vive per i giovani, non potrebbe mai farne a meno, ha ancora ben ancorato addosso lo spirito da parroco e mai dovrà disfarsene perché è la sua marcia in più, e questo lo sa bene. Ha bisogno di vita, di gioia, di felicità, di canti e di allegria. Sa volere bene e farsi volere bene, da tutti, anche dai più distanti al mondo ecclesiale. Conosco tante persone lontane dalla Chiesa che il lui riconoscono una persona buona, sincera, che crede in quello che fa.

È venuto a portare conforto a mia nonna quando è mancato il nonno, non contento è ripassato di nascosto alla camera mortuaria per lasciare un rametto d’ulivo e una preghierina sulla bara del nonno. Mons. Roberto è fatto così: se può far del bene lo fa.

Tommaso Tombini, universitario biellese fuorisede come me, racconta come stare in mezzo alla gente sia importantissimo per mons. Roberto, a Lourdes immergendosi fra i fedeli, dando una mano e offrendo conforto e speranza ai malati. Per una parola lui c’è sempre, con grande umiltà e semplicità, specialmente per noi giovani. È capace di arrivare in ritardo a un appuntamento per prendersi un caffè con chi vuole scambiare un’opinione con lui.

È una persona felice, nel senso più profondo del termine, felice per il nuovo giorno, felice per il profumo del caffè, per un canto particolarmente gioioso della Messa mattutina, per la prima nevicata o per la visita della nipotina. Ma soprattutto è una persona felice di essere cristiano, di essere sacerdote e di poterlo testimoniare. È in grado di togliersi il pane di bocca per aiutare chiunque, mons. Roberto è un uomo buono e sincero, a volte fin troppo buono tanto da non essere quasi in grado a dire di no. Un vescovo deve dare l’esempio e credo che mons. Roberto sia il primo a farlo, sempre in prima linea con la testimonianza della sua vita. E grazie alla sua testimonianza di vite ne ha cambiate tante, anche la mia. Grazie a lui mi sono riavvicinato alla realtà ecclesiale e ho rafforzato la mia fede, ho iniziato un cammino personale e ho capito di aver bisogno di mettere le mie energie e le mie competenze al servizio della comunicazione della fede e della Chiesa, vivendo come una sorta di vocazione il percorso universitario che sto affrontando oggi.

Detto questo mons. Roberto non è una persona perfetta, ci mancherebbe. Riconosce le sue manchevolezze, lui stesso lo ha ricordato sotto l’articolo: “Che il sottoscritto possa essere un uomo che difetta nella capacità di governo, forse lento nel prendere decisioni, non voglio negarlo”. Sinceramente mi fa male leggere così impietose parole nei suoi confronti, non le merita.

Allego qualche mia fotografia sincera di mons. Roberto che vale più di mille parole. Altro che “popolo di Dio abbandonato a sé stesso”...

Fraternamente

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