Una proposta prima che sia troppo tardi

Dalle elezioni regionali, il Pd, tendenza Bonaccini o Schlein, esce sconfitto, le alleanze asimmetriche in Lombardia e Lazio non hanno fruttato neppure un’apparente capacità competitiva, ma non è di questo che vogliamo scrivere. La destra vince, poco importa se al voto va poco più del quaranta per cento degli elettori, perché non esiste riprova che se fossero stati di più non avrebbe vinto ugualmente.

Essendo stati espulsi da Azione per aver sostenuto Paolo Damilano alle elezioni comunali di Torino, ma avendo oggi ai vertici di quella formazione molti esponenti della politica locale e nazionale che con noi sostennero l’imprenditore, a fronte dell’esito negativo del voto regionale in Lazio e in Lombardia, è di questo che vogliamo scrivere.

Riepiloghiamo brevemente, in Lombardia il terzo polo ha sostenuto la candidatura di Letizia Moratti, esponente del centrodestra (moderato), già assessore di Fontana, con l’ambizione di svuotare FI: obiettivo mancato. Invece nel Lazio il terzo polo ha sostenuto Alessio D’Amato, già assessore alla Sanità della maggioranza piddino-grillina di Zingaretti, ma senza l’appoggio di Conte, ottenendo un risultato deludente come anche +Europa. La vicenda è aggrovigliata, prova ne siano le dichiarazioni puntute e confuse di Calenda e in generale dei leader delle forze sconfitte. Proviamo a districarla con alcune considerazioni e una proposta.

Il Terzo polo conseguì un discreto risultato alle elezioni politiche, complice anche la preannunciata sconfitta della coalizione piddina, che rese assai meno stringente il vincolo del voto utile, ma la scelta di correre da soli al di là del sistema elettorale non può essere la regola aurea, tanto più quando, come alle regionali si vota col maggioritario di coalizione. Molti guardano con invidia e ammirazione all’ascesa di FdI, ma Meloni ha sempre avuto chiaro che la sua formazione, almeno a livello locale, doveva stare nel centrodestra e vincere o perdere con loro, conquistando quote di potere, formando una classe dirigente governando comuni e regioni, cioè misurandosi sul consenso derivante dall’agire e non solo su quello dell’immaginare.

L’elettorato che ancora vota, se va al seggio, lo fa per decidere chi governerà, non rassegnato allo stare all’opposizione oppure peggio in minoranza nella minoranza. Quindi che può fare il Terzo polo? Qualcuno dal Pd lo sollecita ad entrare in un campo largo con i 5S. Immaginare Conte e Calenda, Fratoianni e Renzi ad uno stesso tavolo sembra difficile, ma ancora di più è pensarli d’accordo su un programma comune: coniugare avversione e propensione alla Tav, come ai termovalorizzatori, come al sostegno all’Ucraina, come alla contrapposizione tra cultura garantista e giustizialista sembra impossibile, salvo ricorrere alla logora coperta di Linus della santa alleanza antifascista per vincere le elezioni. Allearsi con la destra? Lasciamo agli strateghi questo dilemma, che meriterebbe ben più approfondite riflessioni più che ostracismi e inviti a starsene a casa.

Veniamo alle prossime scadenze regionali. A nostro parere non distinguere tra scadenze elettorali amministrative e politiche è il primo errore di chi ambisce ad essere “terzo”. Non perseguire il rafforzamento dell’area liberale e moderata con ogni mezzo, sostenendo un candidato a sindaco che ne è espressione, vedi Damilano, o che ne potrebbe essere aggregatore, vedi Cirio, sulla base di un pregiudizio, che per dirla come fanno alcuni dirigenti di Azione prevede esclusivamente di “allearsi col Pd se questo non si allea con i 5S” è una sorta di castrazione chimica del decantato primato della centralità dei contenuti sulla forma.

In attesa dell’avvio del confronto sull’autonomia differenziata, che al Nord, come ben sanno i dirigenti terzisti più avveduti e intellettualmente onesti, non può essere sottovalutato con qualche battuta in dialetto romano, sarebbe utile inquadrare alcuni temi di competenza regionale: sanità, trasporti e ambiente, provare ad elaborare delle proposte, basate su discriminanti chiare, quindi aprire il confronto con tutte le forze politiche e quindi allearsi con chi si impegna a realizzare questi contenuti.

Partiamo con un esempio a noi caro, la sanità, sia perché estremamente importante per la vita delle persone, mentre il divario tra le diverse realtà in Italia diventa ogni giorno più marcato.

Innanzi tutto, servono risorse. Bisogna dire che ci vuole il MES e i miliardi che metterebbe a disposizione per la sanità pubblica italiana, ben trentasette. Ma per farne che cosa? Dobbiamo partire da quale sanità vogliamo e soprattutto quale debba essere il ruolo del pubblico e del privato nella gestione.

Il Covid 19 ha messo in luce come anni di tagli ai posti letto ospedalieri, l’assenza di una seria politica di programmazione territoriale, l’indebolimento della figura dei medici di famiglia, l’abuso del ricorso ai Pronto Soccorso, abbia creato un vuoto assistenziale preoccupante, con un aumento dei costi e delle spese. Si sono ridotti i posti letto in medicina generale, fisioterapia, geriatria ecc.  ritenendoli inutili e costosi. Si effettuano troppi esami costosi e spesso inutili e si prescrivono ancora troppi farmaci. Nella medicina domiciliare è praticamente scomparsa la terapia fisica domiciliare pubblica. Nelle RSA, duramente colpite durante il Covid ora tendono ad aumentare le tariffe, spesso senza migliorare per questo la qualità dell’assistenza, che prevede poca o scarsissima attività fisico motoria e fisioterapica, con un numero di OSS e di infermieri insufficienti .

Da ultimo ma non meno importante occorre potenziare i dipartimenti territoriali di Igiene e Prevenzione, potenziando anche la rete dei centri per la cura delle malattie infettive, dotandole di terapie intensive che permettano di curare i casi più acuti e gravi in sicurezza ma nelle stesse strutture di ricovero. Nel 50% dei casi il tempo di attesa del posto letto supera gli standard internazionali, che è in media di 6 ore. Su 20 milioni di passaggi annuali nei pronto soccorso italiani (fonte Simeu, Società italiana medicina d’emergenza-urgenza), 10 milioni attendono almeno 9 ore, 800.000 più di 48 ore e 300.000 più di 72 ore. Mancano circa 5.000 urgentisti, ovvero 3 medici su 10 (inclusi i “gettonisti”).

Nella nostra regione i posti letto sono 3,5 ogni mille abitanti, al di sotto del parametro nazionale di 3,7 e sono diminuiti dai 18.720 del 2010 ai 16.130 del 2019 (fonte Simeu). Mancano 284 urgentisti, sui 633 previsti (44%) e infermieri. Le cooperative coprono il debito orario di 100 medici con una spesa di 1,4 milioni al mese (15 milioni all’anno). La divisione dei pazienti per tipologia classifica il 61% come bassa gravità (codici verdi 51%, codici bianchi 10%), il 23,5% come media gravità (codici azzurri), il 16% come acuzie (codici rossi 2%, codici arancioni 14%).

In conclusione, la Missione 6 del PNRR richiede una nuova programmazione per impiegare correttamente i 20 miliardi previsti. Quale rapporto tra pubblico e privato, garantendo la qualità e l’efficienza delle prestazioni? Ancora un dato. Il privato accreditato attualmente eroga, in modo ormai consolidato, circa il 70 % delle prestazioni di lungodegenza e riabilitazione (le cosiddette prestazioni post-acute ), il 65 % di quelle ambulatoriali, il 25 % di quelle per acuti con alcune Regioni al 50 % (Lazio), altre al 40 % (Lombardia) e altre ancora tra il 30 e il 40 % (Campania e Puglia). Gestisce l’84 % delle strutture Rsa.(Fonte Sole 24 ore).

Un efficiente, sicuro e moderno SSN deve garantire livelli di assistenza omogenei in tutte le Regioni italiane cercando di evitare il più possibile la disaffezione del personale, il turismo sanitario costosissimo, la sicurezza del personale, la qualità della assistenza e la sua efficienza. E’ fondamentale razionalizzare l’assistenza con un serio connubio pubblico-privato e non razionarla.

Apriamo dunque un dibattito su quale Sanità vogliamo nella nostra Regione. Non vogliamo ridurre il tutto alla contrapposizione tra modello lombardo e modello emiliano, ma capire se siamo in grado di immaginare un modello piemontese. Centrosinistra e centrodestra hanno in successione amministrato la Regione, ma le differenze sono impercepibili. Sia questa la una discriminante sulla base delle quali decidere le alleanze per provare a vincere.

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