Fare i conti con l'ambiente

Siamo sempre in lotta con il tempo. Il tempo è una dimensione relativa e secondo Albert Einstein “la divisione tra passato, presente e futuro ha solo il valore di un'ostinata illusione”. Concetto confermato anche dalla Meccanica Quantistica. Come dice Buonomano, però, il cervello umano è un sistema complesso che non solo percepisce il tempo ma addirittura lo crea. Così politici e cittadini si interessano costantemente di quello che ci sta succedendo, o che succederà nel prossimo futuro, costringendo la durata della realizzazione delle soluzioni in archi temporali a volte troppo brevi per essere mantenuti. Basti pensare al tempo di reazione che ci si attende dai Governi nei loro primi 100 giorni di vita, come se fosse facile in un consesso multi-pensiero risolvere tutti i problemi, tutti insieme, emanando nuove regole senza “imporle” ma “condividendole”. Ed ecco che proiezioni temporali che superano i 5 anni risultano poco interessanti e a maggior ragione, se andiamo oltre, l’interesse diventa formale ma per nulla fattivo.

Uno dei fenomeni che tutti i giorni sia i giornali sia i talk show evidenziano è il caldo e afoso tema del “cambiamento climatico” come evento da risolvere nell’immediato. Il 3 agosto è apparso l’appello di Mattarella e di 5 Capi di Stato mediterranei (Croazia, Grecia, Malta, Portogallo e Slovenia) indirizzato all’Unione Europea, agli altri paesi del Mediterraneo e alla comunità internazionale: “Come previsto, la crisi climatica è arrivata e ha raggiunto dimensioni esplosive, tanto che si parla ormai di ‘stato di emergenza climatica’. (…). I suoi effetti sono visibili soprattutto nella nostra regione, il Mediterraneo, che è gravemente colpita e a rischio immediato non soltanto di scarsità di acqua ed elettricità, ma anche di inondazioni, diffuse ondate di calore, incendi e desertificazione. I fenomeni naturali estremi stanno distruggendo l'ecosistema e minacciando la nostra vita quotidiana, il nostro stile di vita. (…) Non c'è più tempo per scendere a compromessi per ragioni politiche o economiche. È imperativo agire e prendere iniziative urgenti ed efficaci. Tutti i Paesi del Mediterraneo devono coordinarsi e reagire, impegnarsi in uno sforzo collettivo per arrestare e invertire gli effetti della crisi climatica".

l Centro Regionale di Informazione delle Nazioni Unite riporta che «per “cambiamenti climatici” si intendono i cambiamenti a lungo termine delle temperature e dei modelli meteorologici. Questi cambiamenti possono avvenire in maniera naturale, ad esempio tramite variazioni del ciclo solare. Tuttavia, a partire dal XIX secolo, le attività umane sono state il fattore principale all’origine dei cambiamenti climatici, imputabili essenzialmente alla combustione di combustibili fossili come il carbone, il petrolio e il gas. La combustione di combustibili fossili genera emissioni di gas a effetto serra che agiscono come una coltre avvolta intorno alla Terra, trattenendo il calore del sole e innalzando le temperature».

L’effetto serra è di per sé un fenomeno naturale, e quindi normale, che dona al nostro pianeta il suo clima mite: se nell'atmosfera non ci fossero il vapore acqueo e i gas serra, la temperatura media sulla Terra sarebbe di -18 Cº (circa 33 gradi in meno rispetto ad oggi) e il nostro pianeta sarebbe coperto di ghiaccio.

Negli ultimi 100 anni, però, sembra che l’uomo, attraverso il suo stile di vita, abbia aumentato l’effetto serra tramite emissioni aggiuntive causate dall’uso della benzina per guidare l’auto o del carbone per riscaldare gli edifici, a cui si sono aggiunti i disboscamenti, l’aumento delle discariche di rifiuti, l’utilizzo di energia, le industrie, i trasporti, l’edilizia, l’agricoltura e l’uso del suolo. Tutto ciò sembra aver provocato l’aumento della temperatura media terrestre amplificando quel cambiamento climatico che molti classificano come causa dei disastri ambientali a cui siamo soggetti da qualche tempo. In pratica, come rilevano gli estremisti catastrofisti, tutti i benefit che il progresso ci ha abituato a sfruttare, sono la causa principe della morte della Terra ed in primis della nostra estinzione. Per contro, come asseriscono i negazionisti, l’evoluzione non si può fermare, la tecnologia è sempre all’avanguardia e, se veramente l’uomo ha contribuito a creare un po’ di disagio alla Natura, troverà il rimedio per risolvere la situazione climatica che, comunque è comprovato, nell’arco dell’esistenza della Terra, è ciclica.

Non voglio entrare nelle dinamiche che, sul tema climatico-ambientale, alimentano le tifoserie dei catastrofisti e dei negazionisti, ma ritengo che esistano delle ragioni e dei torti in entrambe gli schieramenti e, dal momento che alle ragioni ed ai torti non è corretto applicare la media matematica, una ragione rimane una ragione ed un torto rimane un torto. È incontestabile che il “cittadino responsabile” non deve preoccuparsi solo di quello che sta succedendo, o succederà nel futuro prossimo.

Il “cittadino responsabile” dovrebbe impostare la propria vita avendo contezza di essere un abitante temporaneo della Terra e che, per tal motivo, deve preservarla bene per le generazioni a venire proprio come l’appartamento in cui vive. I profeti, che quotidianamente si alternano sui pulpiti mediatici esortandoci a non guardare le cose solo entro i nostri limiti temporali di vita, sono veramente in grado di dimostrare interesse nei confronti dei loro tris o quadri-nipoti che, nella normalità delle situazioni, non conosceranno mai? Non interesse generico, perché quello non lo facciamo mancare a nessuno, ma interesse partecipato, reale, sofferto. In realtà già con la nostra seconda generazione abbiamo difficoltà a provare empatia, empatia che poi si affievolisce sempre più, sino a svanire, man mano che ci proiettiamo nel tempo delle generazioni future.

In filosofia, in letteratura, e anche nella scienza, questo tema è stato al centro di gradi dibattiti. Quinto Orazio Flacco (Venosa, 8 dicembre 65 a.C.-Roma, 27 novembre 8 a.C., noto più semplicemente come Orazio) nelle Odi scriveva: «Mentre parliamo il tempo è già in fuga, come se provasse invidia di noi. Afferra la giornata sperando il meno possibile nel domani». (Dum loquimur fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum credula poste). Riassumendo: “carpe diem”, cogli l’attimo fuggente. Seneca (Corduba, 4 a.C.-Roma, 19 aprile 65), nelle sue “Lettere a Lucilio”, esorta l’amico a custodire il tempo nonostante una parte ci venga strappata via soprattutto dalla trascuratezza. Chi ha tempo non aspetti tempo perché, come ritenevano i nostri antenati, “è tardi per fare economia quando si giunge al fondo”; sul fondo rimane non solo la parte più piccola, ma anche la peggiore.

Il neuro-scienziato Dean Buonomano (1965), che ha posto al centro dei suoi studi il rapporto tra natura del tempo e neurobiologia, nel 2018 scrive che il cervello umano ha il senso del flusso cronologico ed è in grado di simulare mentalmente eventi futuri e passati. Queste funzioni sono essenziali non solo per la nostra vita quotidiana, ma per l’evoluzione stessa della specie: senza la capacità di «predire» il futuro, l’umanità non avrebbe mai fabbricato utensili o inventato l’agricoltura. Ed ecco che le affermazioni dei negazionisti e dei catastrofisti, in qualche modo, tracciano un futuro diverso ed ognuno di essi porta a dimostrazione della propria teoria delle “prove” che in parte sono solo ipotesi. D’altra parte, il nostro cervello è in grado di viaggiare nel tempo rivivendo episodi, emozioni, sensazioni del passato e allo stesso ipotizzando, immaginando, quasi “costruendo” fatti, episodi ed emozioni nel futuro.

Secondo Aristotele (Stagira, 384 a.C. o 383 a.C.-Calcide, 322 a.C.) la virtù umana altro non è che il punto di equilibro tra due opposti errori, l’uno dei quali pecca per difetto e l’altro per eccesso. Lo stesso Aristotele riconosce che il raggiungimento del giusto mezzo tra due opposti, ovviamente erronei, è molto difficile. Di questa teoria, conclamata anche dal buon senso comune, lo stesso Orazio ne fece uno dei principi fondamentali della sua morale, affermando che la scelta di vita fondata sul giusto mezzo è la migliore.

Purtroppo, nelle società e nella storia questo principio raramente è stato seguito e si è molto spesso oscillato tra i due opposti estremi, ora per difetto ora per eccesso, mentre “in medio stat virtus”. «V’è una misura nelle cose; vi sono determinati confini, al di là e al di qua dei quali, non può esservi il giusto» (sunt certi denique fines, Quos ultra citraque nequit consistere rectum). L’invito è di godere dei piaceri della vita senza abusarne, come per esempio bere il vino ma senza ubriacarsi, godere del cibo senza essere dediti alla gozzoviglia, apprezzare il piacere sessuale senza soggiacere alla libidine. Quel che è male è non saper trovare mai il giusto mezzo, un punto di equilibrio, e così, per reagire ad un eccesso, si cade inevitabilmente in quello opposto.

Non è negando che l’uomo incide sullo stato di salute della Terra che si riesce a raggiungere la tranquillità della propria esistenza e neppure fermare i benefici che l’evoluzione tecnologica ci mette a disposizione permetterà di avere una Terra così come vorremmo nella nostra visione prospettica. Forse, una volta evidenziato e pesato con rigore il conto profitti e perdite delle attività dell’Uomo sulla Terra, è giusto chiedersi: che cosa l’Umanità è consapevolmente disposta a rinunciare del progresso tecnologico che incontrovertibilmente ha migliorato la qualità della vita dell’Uomo ma altrettanto incontrovertibilmente genera danni all’ambiente?

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