Zandano, Salza e il grattacielo

Il 25 febbraio 1997 su ItaliaOggi apparve un articolo intitolato “Zandano: San Paolo senza nocciolo duro” in cui si scriveva: «Il piano di privatizzazione dell’Istituto bancario San Paolo di Torino è entrato nella fase pre-operativa e questa privatizzazione “non prevede un nucleo duro alla francese, né un gruppo di azionisti legati fra loro da un patto di sindacato”, ma piuttosto “cani sciolti”. Così Gianni Zandano, presidente della banca torinese, ha spiegato ieri il processo di apertura ai privati, come egli stesso lo ha definito, dell’istituto cominciato nel 1992. Zandano, illustrando le linee generali del progetto di completa privatizzazione che porterà la holding, attuale controllante della banca, dal 65,58% a una partecipazione non superiore al 20-25%, ha sottolineato che questo “modello di privatizzazione è più difficile da gestire”, ma punta a non creare situazioni di “netta preminenza”». Il presidente dichiarò inoltre: «La privatizzazione del San Paolo non è una mera operazione finanziaria, ma un evento politico nel senso più ampio e più alto del termine, un evento di importanza epocale, forse la prima vera public company (…). La scelta fatta di “rendersi scalabile” è solo in apparenza temeraria».

L’8 febbraio scorso, presso il grattacielo di Torino di Intesa Sanpaolo, durante la presentazione del libro: “Sapremo fare la nostra parte - testimonianza di un imprenditore banchiere: Enrico Salza”, nessuno degli autorevolissimi partecipanti alla “tavola rotonda” ha osato, non dico rendere omaggio, ma neanche nominare Gianni Zandano, l’uomo che volle e seppe condurre in porto la privatizzazione dell’Istituto Bancario San Paolo di Torino rendendo così possibile, nel bene e nel male, tutto quanto accadde dopo. Il presidente di Banca Intesa Sanpaolo, professor Gian Maria Gros-Pietro, “commemorando” l’ing. Enrico Salza ha detto: «Salza ha fatto la sua parte in misura rilevante per Torino e per Intesa Sanpaolo. Senza Enrico Salza e senza Giovanni Bazoli questo grattacielo non ci sarebbe. Gli uffici di Intesa Sanpaolo sarebbero rimasti in piazza San Carlo? Forse sì, ma ci sarebbe un’insegna spagnola e a Ca’ de Sass una francese (…). Siamo in Europa e le differenze tra i Paesi non dovrebbero contare, invece contano e hanno effetti sulla vita dei cittadini di Torino e di Milano».

Certo, se il professor Zandano avesse pensato solo alla sua poltrona, come qualcuno gli aveva consigliato, non l’avrebbe messa in gioco realizzando una privatizzazione che puntava a non creare situazioni di “netta preminenza”. Invece avrebbe potuto mettersi al riparo di un “nocciolo duro” di azionisti di controllo, rimanendo così al vertice della Banca ad libitum. Su una cosa il professor Gros-Pietro ha ragione, senza l’incorporazione del San Paolo in banca Intesa e la conseguente nascita di Banca Intesa Sanpaolo oggi non ci sarebbe il grattacielo, ma siamo proprio sicuri che per il Sanpaolo, e per la città di Torino, la fusione con banca Intesa BCI fosse la migliore possibile?

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