Omicidio Navalny, basta zone d'ombra

Era il 13 gennaio 2023, un anno fa; con una lettera aperta inviata via PEC alla premier Giorgia Meloni e al ministro degli Esteri Antonio Tajani chiedevamo che il governo italiano attivasse la nostra ambasciata a Mosca “per verificare le condizioni di salute e di detenzione del “prigioniero politico” Aleksei Navalny, a due anni dal suo arresto ed incarcerazione illegittimi ed arbitrari da parte della Federazione Russa”. Nessuna notizia sui giornali; nessuna risposta dal governo. Il 16 febbraio scorso Navalny è stato ucciso in un carcere oltre il Circolo Polare Artico. Mentre scriviamo, la moglie di un altro oppositore democratico del regime di Putin, Vladimir Kara-Murza (condannato a 25 anni di reclusione) denuncia di non avere da settimane notizie del marito, scomparso dalla colonia penale in Siberia dove stava scontando la pena. Chiediamo, innanzitutto, al governo italiano di fare per Kara-Murza e gli altri oppositori in galera in Russia quello che non ha fatto per Navalny.

Ma non ci sono solo peccati di omissione: l’ambasciata italiana a Mosca, che non è stata attivata per Navalny, ha lavorato sodo, dal 2014 (prima aggressione della Russia all’Ucraina) al 2021, per premiare ben 33 uomini del “cerchio magico” di Putin con una o più onorificenze della Repubblica Italiana. Tutti i governi italiani (eccetto gli ultimi esecutivi Draghi e Meloni) hanno elargito senza problemi medaglie agli uomini del Cremlino, con addirittura un’accelerazione a partire dal 5 settembre 2019, quando Luigi Di Maio divenne ministro degli Esteri nel secondo governo Conte (23 medaglie elargite da allora).

E’ dal 2020 che denunciamo la vergogna delle onorificenze regalate alla nomenklatura russa ma c’è voluta la seconda aggressione della Russia all’Ucraina (24 febbraio 2022) perché nel Palazzo qualcuno facesse qualcosa, Con due decreti del 9 maggio 2022 (pubblicati sulla GU del 25/052022), il Presidente della Repubblica ha revocato “per indegnità” quattro delle suddette onorificenze, attribuite ai seguenti cittadini russi: Mikhail Mishustin(primo ministro della Federazione russa), Denis Manturov (ministro dell’Industria e del commercio), Andrey Kostin (Presidente della banca russa Vtb) e Viktor Evtukov (Segretario di stato della Russia). Con tre decreti del 8 agosto 2022 (pubblicati sulla GU del 20/08/2022), il presidente Mattarella ha revocato “per indegnità” altre dieci onorificenze. Dopo di allora non risultano essere stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale altri decreti di revoca. Restano ancora “medagliati”, fra gli altri: Dmitry Peskov (portavoce di Putin, che ogni giorno diffonde ai media di tutto il mondo le veline dello Zar); Aleksej Paramonov (ambasciatore russo in Italia, che ha attaccato pesantemente il governo italiano sia nel marzo 2022 sia recentemente); Igor Sechin (amministratore delegato di Rosneft, uno dei più stretti consiglieri di Putin).

Il 30 maggio 2023, in occasione della Festa della Repubblica, inviammo via PEC una formale richiesta alla premier Giorgia Meloni (e, per conoscenza, al Presidente della Repubblica e al ministro degli Esteri) di revoca delle onorificenze e di conferimento delle stesse a tre cittadini russi incarcerati per la loro opposizione nonviolenta a Putin: Aleksei Navalny, Aleksei Gorinov, Ilja Yashin.

Il 4 ottobre scorso (nel sesto anniversario della concessione della medaglia a Peskov) abbiamo manifestato sotto Palazzo Chigi e poi abbiamo consegnato al capo di gabinetto di Alfredo Mantovano (sottosegretario alla Presidenza del Consiglio) sia l’elenco delle onorificenze ancora da revocare sia una petizione ad hoc per la revoca della onorificenza a Peskov, firmata fra gli altri da Vittorio Emanuele Parsi, Marco Bentivogli, Vincenzo Camporini, Giuliano Cazzola, Alessandro De Nicola, Matteo Marchesini, Claudio Martelli, Nona Mikhelidze, Carmelo Palma, Christian Rocca, Sofia Ventura.

Non sappiamo se il blocco delle revoche delle onorificenze sia dovuto a una comunque ingiustificabile sciatteria burocratica o a un altrettanto ingiustificabile e vergognoso calcolo politico. Crediamo che dopo l’omicidio premeditato di Aleksei Navalny da parte del regime tecnicamente criminale di Putin, non ci debbano essere più ambiguità e zone d’ombra: il governo Meloni revochi tutte le onorificenze - tranne quella concessa all'imprenditore Oleg Tinkov, l’unico dei medagliati ad essersi espresso pubblicamente contro la guerra di Putin - entro il 24 febbraio 2024, secondo anniversario della seconda aggressione russa all’Ucraina.

Ma non basta. Chiediamo a Giorgia Meloni di chiedere conto al suo alleato di coalizione nonché vicepremier Matteo Salvini dell’accordo di collaborazione da lui sottoscritto a Mosca il 6 marzo 2017 con il partito personale di Putin, Russia Unita. La Lega è l’unico partito in Occidente ad avere firmato un simile patto con il diavolo, patto mai revocato e tuttora in vigore (ai sensi dell’art. 8, il patto è stato rinnovato automaticamente nel 2022 fino al 2027). Siamo felici che la Lega di Salvini abbia aderito alla fiaccolata a Roma promossa da Carlo Calenda per commemorare Alexei Navalny e per chiedere conto della sua morte al regime di Putin. Ma i leghisti non devono avere scheletri nell’armadio. Non ammettere le correità e complicità passate con Putin rappresenterebbe un’ultima offesa verso chi, come Navalny, ha “gettato il suo corpo nella lotta” per assicurare finalmente alla Russia libertà, democrazia e Stato di diritto.

Giorgia Meloni ha tenuto finora sul “dossier Ucraina” una posizione ineccepibile; a maggior ragione, non devono più esserci “zone grigie” quali onorificenze e accordi di collaborazione vergognosi e intollerabili, a soli quattro mesi da Elezioni Europee che devono essere affrontate da ciascun partito nella piena chiarezza delle posizioni rispetto a una questione cruciale quale il nostro sostegno “senza se e senza ma” all’Ucraina e la nostra ferma opposizione al regime criminale di Vladimir Putin.

*Giulio Manfredi, Igor Boni e Silvja Manzi, esponenti radicali

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