A colpi di “omofobia” si censura la libertà
14:57 Sabato 02 Novembre 2013 4Il radicale Viale difende il diritto dell'Istituto Faà di Bruno di esprimere le proprie posizioni sulla famiglia e l'omosessualità, pur non condividendole. E ai colleghi consiglieri dice: "La Sala Rossa non è il Minculpop né il Soviet della cultura"
Colpito dagli strali dell’ideologia gender, l’Istituto Faà di Bruno, scuola paritaria convenzionata di Torino, si è piegata all’intimazione di tre consiglieri comunali e ha annullato la conferenza “sulla bellezza della famiglia tradizionale”. Subendo un sopruso, anzi un atto di vera e propria censura preventiva da parte dell’imperante mainstream. A sostenerlo non è un esponente del mondo cattolico, più o meno tradizionalista, che timidamente ha difeso la legittimità dell’istituzione scolastica, ma Silvio Viale, laico a 24 carati, presidente dei Radicali italiani. «Al posto della Faà di Bruno non avrei ceduto e ha ragione l’Arcidiocesi a parlare di censura – scrive in una nota diffusa da Chianciano dove sono in corso i lavori del congresso dei seguaci di Pannella -. Purtroppo viviamo in tempi in cui la libertà di parola e di opinione rischia di essere condizionata da una voglia di persecuzioni penali che sono una vera e propria censura di Stato». L’episodio non è che un’avvisaglia del conformismo “istituzionale” verso cui stiamo andando incontro. «Il Parlamento – prosegue Viale - si appresta ad approvare, quasi all’unanimità, il reato di revisionismo/negazionismo sull’Olocausto, come in altri paesi è stato introdotto il reato di apologia del Comunismo, senza distinguere tra opinioni e azioni. Come non ricordare, poi, tutti i paesi in cui le opinioni religiose sono perseguitate penalmente da leggi criminali e ingiuste». Da qui la decisione di marcare una differenza, a costo di andare controcorrente: «Le mie posizioni sono stellarmente distanti dalle tesi e dall’arretratezza storica sostenute dal relatore di quella riunione. Non ho esitazioni a denunciare l’omofobia e l’arroccamento familistico estremo di quelle posizioni, come sono disposto a manifestare pacificamente contro, ma non credo che quella riunione debba essere vietata».
Ma a Viale preoccupa ancor più la ventilata proposta di un documento di indirizzo che potrebbe essere messo all’ordine del giorno della prossima seduta del Consiglio comunale di Torino: si tratterebbe di una sorta di «decreto prefettizio della Sala Rossa». L’assemblea cittadina, insomma, non è il Minculpop né il Soviet supremo della cultura: «Io rispetto l’impostazione culturale della Faà di Bruno, come condivido l’osservazione dell’Arcidiocesi, ma credo che alle parole debbano seguire i fatti e sarebbe sicuramente un gran passo avanti per la comunità cittadina se alla Faà di Bruno potesse svolgersi un analogo incontro con la comunità Glbt e con chi come me ha posizioni più aperte e tolleranti». Per il momento la conferenza è stata annullata, gesto apprezzato dalla Diocesi che pure ha ribadito la propria posizione sul tema, volto a svelenire il clima.
Il caso, come noto, è scoppiato a seguito dell’iniziativa del capogruppo di Sel Michele Curto di chiedere al sindaco Piero Fassino “comunicazioni urgenti” in merito ad un incontro sull’omosessualità organizzato per l’8 novembre all’istituto cattolico Faà di Bruno, nel corso del ciclo “Scuola per genitori”. Una lezione incentrata “sulla bellezza delle famiglia tradizionale minacciata dall’ideologia del gender”: tanto basta per essere tacciata di omofobia. Ma a indignare ancor più il politico vendoliano sarebbe stata l’annunciata presenza tra i relatori di «una specialista di malattie infettive, sostenitrice di “terapie riparative”, sconfessate da tutta la comunità scientifica». Da qui la pretesa di convocare i vertici della scuola e, in mancanza di un chiarimento, di valutare la sospensione immediata della convenzione. La richiesta, firmata anche dai consiglieri Marco Grimaldi (Sel) e da due esponenti del Pd, Luca Cassiani e Marta Levi, vice presidente del consiglio comunale, potrebbe ora tradursi nel documento “di indirizzo” paventato da Viale.
La relatrice "incriminata" Chiara Atzori, interpellata da Avvenire, non è stata colta di sorpresa dalla contestazione: «il risultato della strategia che appiccica l’etichetta di omofobo a chiunque sostenga che la famiglia è quella naturale. Uomo, donna, vita. Sono queste le tre parole che la definiscono – dice Atzori – altro non c’è. Una visione razionale, non ideologica, ancorata alla realtà. Sotto gli occhi di tutti. Solo chi è in preda al delirio può negare questa evidenza». In preda al delirio o nel pieno esercizio di una discriminazione: come succede a Torino, dove si vede anche quello che non c’è. «Qui non si parla di un dibattito sul matrimonio omosessuale ma della cura degli omosessuali – sostiene Grimaldi – e questa è omofobia travestita da difesa dei valori tradizionali». Ma di curare gli omosessuali ha parlato solo lui: non c’è traccia di questo tema nel volantino della Faà di Bruno. «La pensano diversamente e legittimamente in modo diverso dal mio. Ma le loro convinzioni non valgono più delle mie, anche io – prosegue Atzori – sono legittimata a esprimerle. Operazioni come questa di Torino sono la prova provata che l’ideologia gender impone il proprio pensiero, vorrebbe imbavagliare chi dissente, chi non si stanca di sostenere che la famiglia è solo quella naturale, con un uomo e una donna all’origine della vita. Basta dirlo per venire duramente attaccati».