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“Questo Centrodestra è morto”

Crosetto certifica il decesso dello schieramento politico costruito attorno alla figura di Berlusconi. "Ripartiamo dal Piemonte". Annuncia una convention e poi tranquillizza chi è rimasto dall'altra parte della barricata: "Chiamparino non è Renzi"

Ci pensa e ci ripensa ancora Guido Crosetto. Una candidatura che sembrava blindata, il voltafaccia di Silvio, gli “amici” di Forza Italia che lo abbandonano per Gilberto Pichetto, poi anche Ncd decide di andare da sola, lui costretto a guidare quell’armata Brancaleone dei Fratelli d’Italia, in una regione come il Piemonte che diventa «sempre più rossa». Ne è convinto,  «con un candidato unico e forte si poteva evitare la débâcle, almeno in queste proporzioni», ma intanto il responso delle urne è ormai noto e adesso cosa resta di un centrodestra che a Torino, negli anni ruggenti di Forza Italia, era riuscito addirittura a contendere la poltrona da sindaco a Sergio Chiamparino? «Non c’è più nulla, quell’esperienza è finita. Perché quel progetto era nato attorno a un’unica figura che faceva da collante, ovvero Silvio Berlusconi. Ora lui è il disgregatore, non riesce più a tenere tutto insieme».

 

I numeri, implacabili, sono lì a dare la cifra del disastro. In Piemonte, alle Politiche del 2008, il Pdl valeva oltre il 35%, con quasi 900mila voti, cinque anni più tardi si era passati al 20 per cento, con le preferenze in termini assoluti, quasi dimezzate. Nelle Regionali di cinque anni fa il centrodestra capitanato da Roberto Cota valeva il 47,3%, quello di Pichetto, un mese fa, è rimasto inchiodato al 22, con il candidato di Ncd al 3 e FdI di poco oltre il 5.

 

Una parabola, quella del centrodestra targato Arcore che in parte è sovrapponibile a quella disegnata dallo stesso Crosetto: tra i protagonisti assoluti dell’età dell’oro berlusconiana, caduto in disgrazia per aver cercato anzitempo di sfuggire alla decadenza. Meno di due anni e mezzo fa era sottosegretario alla Difesa e già aveva preso a sparare contro le storture di un centrodestra che non riusciva a emanciparsi dal gran capo. Parlava di primarie, «quelle che Silvio non permetterà mai», motivo per cui anche l'ultima iniziativa del Raffaele Fitto in tour è «destinata a morire». Oggi, dopo tre trombature consecutive – Politiche 2013, Regionali ed Europee 2014 – si guarda intorno e non vede altro che macerie. Eppure qualche spazio potrebbe aprirsi: «Chiamparino non è Matteo Renzi, se non altro per questioni anagrafiche. Amministrerà in modo annoiato, cercando di salvaguardare l’esistente, non ha più quella verve che lo aveva contraddistinto nel decennio in Comune», quindi «a destra dobbiamo riaprire un dialogo senza attendere che succeda qualcosa a livello nazionale». Dopotutto, ragiona Crosetto, «il mio programma, quello di Enrico Costa e di Pichetto non erano poi così differenti. Dobbiamo ripartire da lì, rivolgendoci a chi produce la ricchezza e non a chi la amministra». Torna a battere sul nervo scoperto di Chiamparino, i legami con le banche di una «sinistra che di comunista ha solo il passato, adesso frequenta i salotti buoni e occupa gli istituti di credito con i suoi uomini». Per questo ci sono ampi spazi, secondo Crosetto, di ricostruire qualcosa a partire da un programma ma anche «da un nuovo orizzonte morale e di valori». Lasciando per un attimo da parte il dibattito sui nomi e sui contenitori «per i quali non ho mai avuto particolare affezione», ma ripartendo da un’idea, anche di massima.

 

I suoi nemici sono a Roma, lontani, in altre faccende affaccendati: su tutti Denis Verdini, architetto delle retrovie berlusconiane, il bastone nelle ruote di Crosetto lanciato verso la candidatura a governatore. Quando parla di lui il Gigante di Marene s’infervora e ha buon gioco a parlare di «nuovi valori, nuovi orizzonti».  Una rinascita che può avvenire proprio partendo dal Piemonte, mentre a Roma i suoi nemici continuano a ballare sul Titanic. «Presto organizzerò qualcosa, probabilmente a luglio» dice. Invitati imprenditori, artigiani, umanità varia, «non solo politici». Non c’è ancora una data né il luogo: «Un posto dove non faccia troppo caldo».