VERSO IL 2019

Cirio e Porchietto "pari sono", Forza Italia sceglie a settembre

A dispetto dei rumors propalati tra Roma e Torino i due ex assessori restano in pista per la corsa alle Regionali del prossimo anno. Il coordinatore Pichetto conferma nomi e tempi, in attesa di passare il testimone a Zangrillo

“Se non siamo alla rescissione poco ci manca. Le parole del ministro in audizione confermano la progressiva presa di distanza rispetto al contratto di governo. Sul reddito di cittadinanza c’è grande vaghezza, al punto che Giovanni Tria si limita a dire che potrebbe essere finanziato sostituendo altri servizi”. Quando esce dalla sala in cui la commissione Bilancio ha appena audito il titolare del Mef, Gilberto Pichetto ha un’immagine assai più debole della tenuta del contratto che impegna la Lega e i Cinquestelle. E, di conseguenza il capogruppo azzurro della Bilancio nonché coordinatore di Forza Italia per il Piemonte, vede ancor più sgombra da possibili ostacoli la conferma della coalizione storica del centrodestra per le prossime regionali.

Non che la Lega lo abbia mai messo in dubbio, anzi nelle ultime settimane l’omologo di Pichetto sul fronte salviniano, Riccardo Molinari (che da capogruppo alla Camera mantiene ancora il governo del movimento in Piemonte) non ha perso occasione per confermare la tenuta della coalizione per il 2019, chiedendo addirittura all’amico Gilberto, come accaduto in un recente incontro in aeroporto, “chi dei tuoi dobbiamo prepararci a sostenere come candidato presidente?”. Una domanda che non ha avuto risposta e che, probabilmente, non l’avrà in maniera definitiva ancora per un po’ di tempo. Non certo perché Forza Italia non abbia candidati pronti, piuttosto per un apparentemente banale problema di strategie legata a quali saranno le figure che metteranno in campo il centrosinistra e i Cinquestelle. Molto dipenderà da quello, in una logica che rischia di far assomigliare i partiti o le coalizioni (riferendosi al centrodestra e al centrosinistra) a dei corridori in pista nella fase di surplace: aspettare il primo che parte e bruciarlo.

Con la maglia azzurra, da tempo, sono pronti a scendere in pista gli ormai soliti due nomi di cui si parla da mesi: l’europarlamentare Alberto Cirio e la deputata Claudia Porchietto. Sul primo negli ultimi tempi si sono addensati parecchie dubbi, spesso alimentati da voci interne, circa i problemi che l’ex assessore regionale al Turismo della giunta Cota potrebbe incontrare in una sua corsa verso la successione a Sergio Chiamparino, per via del coinvolgimento nella nuova indagine su Rimborsopoli. Voci talmente ricorrenti che avrebbero indotto il diretto interessato, probabilmente in ossequio a una strategia improntata ad attenuare l’attenzione (non sempre benevola) su di sé, a definirsi come concentrato sulla sua rielezione al Parlamento europeo. In verità Cirio resta in lizza, così come restano gli endorsement arcoriani e dello stesso Antonio Tajani nei suoi confronti, pur con tutti i benefici del dubbio su possibili revisioni dei piani nella war room di Palazzo Grazioli quando si entrerà nel vivo degli schemi per la battaglia delle amministrative. Una cosa è certa: il ruolo di pontiere tra il governatore ligure Giovanni Toti e il nuovo vicepresidente del partito che Cirio sta esercitando in queste ultime settimane ne ha aumentato il peso politico (e quindi le sue quotazioni a corte).

Altri rumors non meno insistenti tendono ad attribuire alla estrema vicinanza della Porchietto alla capogruppo alla Camera Mariastella Gelmini l’immagine palese di un ostacolo al via libera da parte del cerchio magico di Arcore, non certo benevolo verso l’ex ministro dell’Istruzione. La versione meno dura, attribuirebbe la difficoltà per la deputata torinese di essere candidata alla presidenza della Regione, proprio alla volontà della Gelmini di continuare ad averla nel suo ristretto ambito di fedelissimi a Montecitorio e non aprire ad elezioni supplettive il collegio dove la Porchietto ha conquistato il suo seggio a Montecitorio.

“Mi sembrano tante sciocchezze” taglia corto Pichetto che, sgombrando il cielo dalle nubi che qualcuno vorrebbe far gravare sull’uno o sull’altra, tiene la barra dritta e conferma come allo stato attuale la candidatura alla presidenza della Regione presupponga una scelta tra Cirio e Pichetto. Certo “se emergeranno altri figure, si valuteranno”, concede il coordinatore regionale che sottolinea anche un altro aspetto non marginale per chi osserva i movimenti in casa azzurra: “Guardare a Forza Italia con gli occhiali che vanno bene per altri partiti, dove sono preponderanti e spesso determinanti le correnti, è un grave errore. Da noi non funziona così”. La scelta del candidato azzurro deve funzionare “per vincere”. Elementare, Gilberto.

Vero, ma è altrettanto vero che la differenza tra l’uno e l’altra o viceversa potrebbe farla anche la scelta del centrosinistra, peraltro ancora annaspante in alto mare dopo il gran rifiuto di Chiamparino e l’affacciarsi dei primi pretendenti al trono. Con, sulla carta (dei sondaggi e delle ultime elezioni), un vantaggio notevole rispetto al Pd e ai suoi alleati, il centrodestra può concedersi il lusso di attendere prima di scegliere tra Cirio e Porchietto ed eventualmente su altri che potrebbero saltar fuori, ma che ad oggi non sono nel notes di Pichetto. Il quale non ha avuto bisogno di tirarlo fuori di tasca, qualche giorno addietro, quando delle elezioni della prossima primavera in Piemonte ha parlato con Silvio Berlusconi. E la coppia di papabili passerà in eredità all’erede designato di Pichetto, Paolo Zangrillo. Il quasi past-coordinatore non nasconde l’auspicio che il passaggio di testimone avvenga in tempi brevi, anche se il percorso verso le regionali vedrà il senatore un prezioso aiuto al suo successore. Fermo restando che, come sempre, a decidere “sarà il nostro presidente”, come ama ripetere Pichetto. E chissà che la designazione non avvenga già a settembre quando a Torino si riunirà l’assemblea regionale azzurra.

A Genova succederà venerdì prossimo ed è atteso lo stato maggiore del partito: dalle due capogruppo Gelmini e Anna Maria Bernini, il vicepresidente del partito Tajani, passando per il portavoce Giorgio Mulè. L’approdo sotto la Lanterna dei maggiorenti azzurri viene visto come definitivo riconoscimento del "modello Liguria" con cui Giovanni Toti ha conquistato larga parte di una regione tradizionalmente di centrosinistra. Tra un paio di mesi a Torino potrebbe essere l’occasione per dare quella risposta all’alleato leghista che già chiede “chi dobbiamo prepararci a sostenere come candidato presidente?”.

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