VERSO IL 2019

Legge elettorale e coalizione, parte l'autunno caldo del Pd

Sulla riforma ancora una fumata nera durante la riunione del gruppo a Palazzo Lascaris. Ravetti propone l'ennesimo tavolo. E in vista del vertice di maggioranza, i segretari provinciali sono in subbuglio per il mancato invito. Carretta: "Prendo atto"

La legge elettorale regionale pare di nuovo arenarsi su un binario morto mentre dalle province del Piemonte si prepara la rivolta dei segretari. In questo crepuscolo di legislatura il Pd sembra sempre più impantanato nelle sabbie mobili mentre resta ancora avvolta dal mistero la disponibilità di Sergio Chiamparino a ricandidarsi.

Alla ripresa dei lavori di Palazzo Lascaris il gruppo consiliare è tornato a riunirsi per riprendere in mano il delicato dossier legato alla legge elettorale: l’imminente scadenza della legislatura batte il tempo al numero uno della formazione dem Domenico Ravetti, il quale ha dovuto per l’ennesima volta prendere atto che sulla sua proposta, presentata prima della pausa estiva (abolizione del listino, doppia preferenza di genere, riequilibrio del peso di Torino rispetto alle altre province e premio di maggioranza alla coalizione vincente), non c’è una unità d’intenti. La componente femminile, presentatasi a ranghi ridotti, è tornata a insistere sulla necessità di introdurre la doppia preferenza, i consiglieri del Piemonte orientale vorrebbero maggiori garanzie, i torinesi restano per la conservazione dello status quo. Il copione è ormai lo stesso da mesi e pure il tentativo annunciato dal presidente dell’assemblea Nino Boeti di cercare una mediazione con i Cinquestelle è stato subito stoppato da alcuni dei presenti, primo fra tutti Daniele Valle con il quale si è acceso anche un diverbio. “Domani mi presenterò ialla riunione dei capigruppo e chiederò l’istituzione di un tavolo di lavoro a tempo determinato per capire se sarà possibile trovare una sintesi in dieci massimo quindici giorni” dice allo Spiffero Ravetti. Insomma, siamo di nuovo al punto di partenza, con la differenza che il margine per raggiungere l’arrivo è sempre più stretto. La missione è impossibile, o quasi.

Una notizia che certamente non sarà accolta con entusiasmo dai segretari provinciali del Pd che sul tema avevano chiesto uno sforzo alla maggioranza e che in questi giorni hanno scoperto pure di essere stati esclusi, almeno per il momento, dal vertice di coalizione convocato l’8 settembre nella sede dei Moderati. “Prendo atto” dice Mimmo Carretta, segretario del Pd torinese, immerso a capofitto nella Festa dell’Unità che dopo qualche difficoltà iniziale sta ricuote un discreto successo di pubblico. Nessuna intenzione di alimentare polemiche ma di certo non gli è andato giù quello che lui e i suoi colleghi considerano uno sgarbo. L’incontro si svolgerà a Torino, i rappresentanti delle altre province neanche invitati (almeno per ora): ce n’è abbastanza per far montare il malcontento e i mugugni trovano sfogo nella caldissima chat dei segretari piemontesi. Tanto più che del pletorico coordinamento messo in piedi da Chiamparino all’inizio della sua reggenza, in coabitazione con Giuliana Manica, saranno presenti solo i componenti designati dalle varie correnti. “Se questa scelta fosse confermata sarebbe davvero un brutto segnale. Dopotutto non facciamo male a nessuno” afferma Sergio De Stasio, di Novara. E allo stesso modo la pensano tutti gli altri colleghi. In fondo, “se era stato deciso di coinvolgere i segretari provinciali c’erano dei motivi politici chiari che non mi pare siano venuti meno” dice Carretta. Il torinocentrismo, il senso di isolamento dei territori più periferici, la necessità di recuperare quelle aree geografiche in cui tradizionalmente il Pd arranca alle spalle del centrodestra. Questioni, evidentemente, rimaste inevase. “Ci confronteremo il 17 quando la Manica ha convocato il prossimo coordinamento e in quella sede diremo quel che abbiamo da dire” prosegue il numero uno della Federazione subalpina.   

Intanto cresce l’attesa per quel che potrebbe emergere dal summit: un Chiamparino impegnato su due fronti dovrà prima di quella data siglare un armistizio all’interno del suo (si fa per dire) partito e poi consolidare l’alleanza con quell’arcipelago di partitini e listerelle che compongono la coalizione di centrosinistra. E poi la telenovela sulla sua ricandidatura: sì, no, forse? Che dirà questa volta il governatore? E soprattutto in quanto tempo lo smentirà?

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