FEDERALISMO

Autonomia, il Piemonte accelera ma ora è il Governo a frenare

Trasporti, sanità integrativa, lavoro, formazione professionale: questi i settori su cui la Regione chiede maggiori poteri. Il testo licenziato ieri approderà a Palazzo Lascaris entro 10 giorni. Roma però rallenta l'iter. L'ira di Zaia. Barazzotto (Pd): "Noi siamo pronti"

È partito in ritardo rispetto ad altre Regioni, non ha fatto squillare le trombe referendarie, ma sulla richiesta di maggiore autonomia il Piemonte è andato avanti spedito, recuperando terreno, tanto da aver licenziato ieri in commissione la proposta di delibera che approderà nell’aula di Palazzo Lascaris nel giro di una decina di giorni.

Trasporti (comprese le concessioni autostradali), lavoro, formazione professionale, istituzione di fondi sanitari integrativi: queste le materie principali per le quali la Regione intende chiedere l’attribuzione di maggiori competenze e, conseguentemente, maggiori risorse così come previsto dall’articolo 116 della Costituzione.

Un percorso rapido, rispetto ad altri su cui ancora si va a rilento (uno per tutti, la nuova legge elettorale regionale), che rischia però di finire su un binario morto a Roma, proprio laddove da poco meno di cinque mesi al Governo c’è la forza politica che più di ogni altra ha fatto storicamente dell’autonomia il suo cavallo di battaglia. Insieme alla Lega governa, però, anche il M5s assai più tiepido se non talvolta gelido sulla questione. E poi, aspetto tutt’altro che trascurabile, la manovra economica del Governo gialloverde potrebbe già aver prosciugato le risorse indispensabili per consentire alle Regioni di esercitare quei poteri ulteriori.

A conferma dell’alto rischio di una fine ingloriosa della strada verso la maggiore autonomia o, comunque, di un preoccupante rallentamento dei tempi l’annuncio-minaccia del governatore del Veneto, il leghista Luca Zaia: “Se continua così, riempiremo le piazze”, ha detto lui che era riuscito a riempire di sì le urne del referendum, tenutosi giusto un anno fa, il 22 ottobre. Sono passati dodici mesi e nulla si è mosso, anche se nell’esecutivo di Giuseppe Conte il ministero per gli Affari Regionali il Carroccio se lo è tenuto ben stretto, affidandolo alla veneta, di Valdagno, Erika Stefani. Lei, ricordando proprio il referendum in una nota ha scritto: “Io sono pronta, ora conta il rispetto del contratto di Governo. Indietro non si può tornare”, ma aggiungendo di essere “certa che i Cinquestelle rispetteranno la volontà dei cittadini”.

Un auspicio che suonerebbe fuori luogo se non fosse che proprio i grillini che hanno il loro  maggior bacino di voti al Sud, proprio da lì raccolgono forti resistenze verso il processo avviato nel Nord, in Veneto e Lombardia con i referendum, ma anche nell’Emilia Romagna governata dal centrosinistra con presidente il dem Stefano Bonaccini e il cui modello di percorso è stato seguito dal Piemonte.

“Non una moda, ma un’opportunità” aveva detto della maggiore autonomia il vicepresidente della Regione Aldo Reschigna all’avvio dell’iter destinato a concludersi, per quanto compete al Piemonte, nel giro di un paio di settimane. Tutti concordi, pur con alcune differenze, le forze politiche, tanto da non far comunque temere per i voti necessari all’approvazione. Ma il collo di bottiglia potrebbe davvero stare a Roma. Dove, lo scorso luglio, era arrivata una lettera del presidente Sergio Chiamparino, indirizzata alla Stefani con lo stato dell’arte del procedimento avviato in Consiglio regionale.

E al ministro, più recentemente, è tornato a rivolgersi il governatore chiedendo la convocazione di tutti i presidenti, paventando una corsia preferenziale per il Veneto, di fatto smentita dalle parole di fuoco pronunciate da Zaia.

Il rischio di vedersi bloccare tutto dopo aver proceduto a passo spedito non lo esclude, guardando al Governo e al Parlamento cui spetta l’ultima parola, neppure Vittorio Barazzotto (Pd) presidente della prima commissione di via Alfieri che ieri ha licenziato il testo, “anche se un Governo che almeno in una sua parte si professa federalista avrebbe difficoltà a tenere le carte coperte. Certo noi possiamo definire, come si farà, in tempi brevi l’iter di nostra competenza, ma se poi tutto si ferma a Roma non possiamo farci nulla”.

Di tutto annuncia essere pronto a fare, invece, ancora il presidente del Veneto: “Ho il dovere morale di dare una risposta ai cittadini quindi andremo fino in fondo”, ha detto Zaia appellandosi “al Governo e al presidente del Consiglio”, evidentemente non avendo ritenuto sufficienti le prese di posizioni sulla questione da parte di Matteo Salvini.

E dire che proprio la Lega, in Piemonte, sull’autonomia aveva premuto l’acceleratore un anno fa quando Veneto e Lombardia avevano chiamato al voto i loro cittadini. Il Carroccio aveva costituito addirittura un comitato promotore per il referendum “per fare pressione e per far sentire la voce di tutti – aveva detto Riccardo Molinari, segretario regionale del Carroccio, ma non ancora parlamentare – in merito ad una questione tanto importante quanto ignorata da chi, invece, dovrebbe avere a cuore il benessere e le richieste dei cittadini”, riferito ovviamente al centrosinistra.

Pochi mesi più tardi, dopo il successo referendario nelle due regioni governate dalla Lega, Salvini battezzando ad Alessandria il comitato aveva detto: “Vogliamo che siano i piemontesi a poter decidere del proprio futuro e per farlo serve l’approvazione in tempi rapidi di una legge che permetta il referendum. Serve mobilitare l’opinione pubblica fuori dal palazzo per pungolare il presidente Chiamparino e garantirci il diritto al voto, per trattenere parte dei 10 miliardi di euro di tasse che il Piemonte regala allo Stato centrale ogni anno”.

Adesso il Piemonte ha pronta la sua richiesta per una maggiore autonomia senza neppure aver dovuto indire il referendum promesso dal Carroccio in caso di conquista della Regione il prossimo anno. A governare lo Stato centrale c’è la Lega insieme al M5s, con idee non certo uguali sulla questione. E una manovra che potrebbe prosciugare quelle risorse senza le quali l’autonomia resterebbe solo uno slogan. Che già pare un po’ messo da parte.

print_icon