VERSO IL 2019

Cirio candidato pro tempore, tensioni nel centrodestra

La designazione di Tajani non ha affatto chiuso la partita delle Regionali. Forza Italia è spaccata, La Lega frena. "Non c'è ancora nessun accordo", conferma Molinari. E intanto nei capannelli di Montecitorio si studiano le alternative

Ormai vanta innumerevoli tentativi di incoronazione, ma il nome di Alberto Cirio ancora non è la soluzione ufficialmente definitiva del rebus che il centrodestra e Forza Italia in primis devono risolvere per la candidatura alla presidenza della Regione.

“Forza Italia vuole che Alberto sia il candidato del centrodestra unito alla presidenza” ha detto ieri Antonio Tajani in una cornice a dir poco anomala per un annuncio – la manifestazione Sì Tav in formato tascabile – che lo stile azzurro, sia pure un po’ sbiadito, vorrebbe con standing ovation e pompa magna. Soprattutto senza altri temi che rischino di far passare in secondo piano quella che dovrebbe essere un’investitura, con tutti i sacri crismi di Arcore, a competitor di Sergio Chiamparino. Difetto di forma, ma che tradisce la sostanza.

Questione risolta? Manco un po’. È pure vero che il presidente del parlamento europeo ha aggiunto che “Il nostro candidato, come ha detto più volte anche Silvio Berlusconi negli incontri con gli alleati, si chiama Cirio”, ma è altrettanto vero che agli alleati, leggi innanzitutto Lega, questo non risulta affatto tant’è che è da quegli ambienti che si ricorda come nel corso dell’incontro, derubricato a “un caffè” da Matteo Salvini, in cui si è discusso di Regioni il nome dell’europarlamentare non è stato fatto, anzi pare non siano stati fatti proprio nomi. “Non c’è ancora nessun accordo – ha confermato ieri sera Riccardo Molinari, capogruppo leghista alla Camera e segretario in Piemonte –. Se spetterà a Forza Italia, Cirio sarebbe un ottimo nome, con lui abbiamo un ottimo rapporto, è una persona che stimiamo, ma nessun accordo è ancora stato preso”. La partita, insomma, non è affatto chiusa, a partire da quel “se” che getta un’ombra di incertezza su presunti patti siglati a Palazzo Grazioli. Un invito alla prudenza formulato anche dall’altro alleato – Fratelli d’Italia, che per bocca del neo coordinatore regionale, Fabrizio Comba, conferma che “nulla è stato ancora definito”: “le parole di Tajani sono un legittimo auspicio, per ora, nulla di più”.

In realtà, il Carroccio non brama di avere un suo uomo, organico al partito, alla guida del Piemonte, anzi non vuole proprio averlo. E questo per poter applicare il manuale Cencelli a suo uso e consumo e piazzare una sua donna, la sottosegretaria alla Cultura Lucia Borgonzoni alla presidenza dell’Emilia-Romagna.

La questione Cirio non riguarda tanto l’alleato leghista, che appare ben disposto alla candidatura del politico langhetto, quanto una parte di Forza Italia. A storcere il naso non c’è solo la capogruppo Mariastella Gelmini alla quale l’esternazione di Tajani è parso l'ennesimo tentativo di piantare una paletto e dare la cosa per fatta. E, soprattutto, non si comprende la ragione di queste ripetute incoronazioni senza corona che se da un lato riconoscono la stima e la capacità del parlamentare europeo, dall’alto continuano a lasciarlo ai blocchi di partenza mentre il suo avversario del centrosinistra galoppa in una ripresa di consensi personali impensabile fino a qualche settimana.

Se la Lega non pone veti, e non pare davvero porli, nei suoi confronti si fa spazio che il problema sia tutto o quasi interno a Forza Italia, forse in buona parte anche motivato dalle possibili conseguenze della vicenda giudiziaria di Rimborsopoli che vede Cirio, insieme e molti altri ex consiglieri regionali, a rischio di processo. È vero che Berlusconi il nome di Cirio lo ha pronunciato, e più di una volta, ma per quale ragione il Capo ancora non ha fatto quel che solo lui può fare, ovvero investirlo del ruolo ufficiale di candidato?

Se si dà peso, e forse un po’ lo meritano almeno per fare luce sulle molte zone d’ombra della vicenda, a conciliaboli che nei giorni scorsi ci sono stati ai più alti livelli parlamentari dei due partiti, risulta meno difficile dare una spiegazione all’incertezza che ancora grava sulla candidatura di Cirio, al netto degli ormai ripetuti endorsement. Berluscones di spicco hanno parlato con alti papaveri del Carroccio, mettendo sul tavolo ragionamenti che potrebbero portare addirittura a una figura civica quale scelta per uscire dall’impasse. La Lega dal canto suo non avrebbe nulla da obiettare, purché a intestarsi l’uomo o la donna da contrapporre a Chiamparino resti sempre Forza Italia, per quanto si è già detto riguardo alla spartizione delle Regioni. Non è forse un caso che siano tornati ad affacciarsi nomi della società civile come quello di Marco Gay, già presidente dei Giovani Industriali di Confindustria, il quale ha incontrato recentemente il Cav., così come quello dell’ex presidente nazionale (oggi regionale) di Coldiretti e già renziano di complemento Roberto Moncalvo, e quello di Giuseppe Provvisiero, numero dei costruttori dell’Ance, contattato il mese scorso a margine di un convegno romano.

Restando sempre nel novero dei papabili la deputata Claudia Porchietto, nei cui confronti l’atteggiamento della Lega è assai meno ostile di un tempo (“Non ci sono veti”, ribadisce Molinari) è frutto di ragionamenti attorno a una questione, forse quella di fondo: meglio un candidato di Torino o delle province?

Se un sondaggio cui ha fatto riferimento in Transatlantico il parlamentare di Fratelli d’Italia Guido Crosetto darebbe il candidato (pur ancora ignoto) del centrodestra avanti di 11 punti rispetto a Chiamparino, è altrettanto vero che gli otto mesi che separano dalle urne sono lunghi, le incognite sulle alleanze (di governo e regionali) non sono poche, e soprattutto resta una certezza: la debolezza del centrodestra non sta nelle province del Piemonte, ma proprio nel capoluogo.

Un’evidenza che pare essere ignorata da Palazzo Grazioli a scendere, sia pure con alcune eccezioni sempre poco ascoltate. Una miopia confermata anche ieri alle Ogr, dove all’aperitivo di Tajani con le rappresentanze del mondo produttivo, mancavano molte irganizzazioni: molte delle sigle promotrici del fronte del Sì non sono state neppure invitate, a partire dall’associazione, l’Api, capofila della protesta. E persino la selezione degli stakeholder presenti (e di quelli assenti) tradisce una visione parziale e scarsa conoscenza del mondo economico torinese e delle sue dinamiche. Pare che l’organizzazione dell’incontro sia stata “appaltata” al presidente di Unioncamere Piemonte, Ferruccio Dardanello, componente di quella lobby cuneese che ha in Cirio uno dei suoi referenti politici, uno che, nonostante i numerosi e prestigiosi incarichi, dopo molti anni a Torino viene ancora trattato con sufficienza, alla stregua di un parvenu.

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