SFILATINI

Centrosinistra allo sbando, terzo forno della Lega

Dopo essersi presi una parte consistente dell'elettorato, in Piemonte i vertici del Carroccio vengono blanditi anche dai dirigenti Pd. In nome della difesa del Nord. E agli uomini di Salvini tutto ciò fa gioco per alzare la posta verso M5s e centrodestra

Se il rivolgersi al capogruppo della Lega alla Camera Riccardo Molinari perché intervenga sulla vicenda dei 29 milioni scippati dal governo all’Agenzia Torino 2006 come ha fatto ieri il senatore del Pd Mauro Laus invocando la “tutela degli interessi piemontesi” può suscitare una certa sorpresa, non meno stupisce la miopia che continua ad affliggere una gran parte della classe dirigente dem nel non (voler) vedere chi, ben prima del senatore torinese, si è rivolto, peraltro in maniera assai differente, verso la Lega: una fetta consistente dei loro (ex) elettori.

La narrazione, per usare un termine spesso sinonimo di lontananza dalla realtà, piddina vuole i pesanti travasi di voti verso il M5s. Ma soprattutto al Nord non è affatto stato così. E continuare a usare le lenti sbagliate non è certo d’aiuto a un partito che non vede, tra le altre cose, neppure lo spiraglio di una via d’uscita dalla crisi in cui è sprofondato. Avranno pure le loro ragioni nella parte più a sinistra del Partito democratico a sostenere che i voti vanno recuperati laddove si sono perduti, ovvero nel partito di Luigi Di Maio, ma questo vale per la parte più radicale dell’elettorato dem e in alcune parti del Paese. Anzi, a dirla tutta, coloro che hanno scelto i grillini da tempo avevano abbandonato il centrosinistra.

Nel “profondo Nord” i richiami alla sicurezza, al di là dei toni, hanno fatto presa in larghi strati di una popolazione che si è trovata sola di fronte ai flussi migratori e alle problematiche di convivenza connessa: spesso liquidata dai dirigenti del centrosinistra come frutto di “percezione” sbagliata, quando non bollata di razzismo strisciante. Del resto in Piemonte, dove le radici della Lega per alcuni versi lontana dalle fascinazioni di destra e dagli ammiccamenti a CasaPound, sopravvive l’immagine di un Carroccio “costola” della sinistra, come testimoniano la presenza nel Pantheon leghista di una figura come quella di Gipo Farassino, che arrivava dal Pci, e delle matrici federaliste.

Su quest’ultimo aspetto un recentissimo sondaggio di Swg fornisce dati interessanti che attestano come la voglia di un Paese federale e di un potere sempre meno centralizzato sia espressa dal 46% del campione, ben 5 punti in più rispetto allo scorso anno. Ma è sulla maggiore autonomia delle Regioni – questione di strettissima attualità e oggetto di un braccio di ferro tra Lega e Cinquestelle – che se non sorprende il fatto che a crederci sia il 61% degli elettori leghisti, un po’ dovrebbe far riflettere che a meno di quei dieci punti che separano i grillini dagli alleati di governo ci sia proprio l’elettorato del Pd, con il 52%. Un distacco che aumenta alla domanda se le Regioni dovrebbero avere meno poteri rispetto agli attuali alla quale risponde sì il 39% dei Cinquestelle e solo il 32 del Pd.

Numeri che diventano ancor più interessanti laddove, come in Piemonte, si andrà tra pochi mesi al voto proprio per rinnovare il governo regionale e dove è avviato, sia pure tra non poche difficoltà e talvolta con qualche ritardo, il percorso verso una maggiore autonomia.

“Facciamo un fronte del Nord” raccontano abbia detto ieri, in una pausa del programma L’aria che tira, proprio il capogruppo della Lega a Montecitorio (non certo tra i più entusiasti, semmai ce ne fossero, della coabitazione con i grillini) scherzando ma poi mica tanto con l’altro ospite di Myrta Merlino, l’ex senatore del Pd Stefano Esposito. Nulla più di una battuta, alla quale Esposito avrebbe risposto descrivendo lo stato di salute, a dir poco cagionevole, del suo partito. Una battuta che però, in fondo, racconta di come la territorialità, l’appartenenza pur lontana dalla secessiun e pure dalla devoluscion del Bossi, raccontino storie declinate diversamente, ma riconosciute dalla Lega e pure da quel Pd. Eppure, gran parte della classe dirigente dem si ostina a negare a se stessa il flusso di voti verso il partito di Salvini (ma anche di Maroni, di Zaia, di Fontana) guardando sempre e solo verso i grillini, assai più lontani anche dalla visione delle Regioni nell’assetto dello Stato.

La stessa piazza di Torino per il sì alla Tav e contro i troppi no di quei grillini cui una parte della sinistra non smette di guardare, tra comprensione e auspicio di redenzione, indica la strada che tra i primi, nel Pd e un po’ discosto da esso, ha compreso Sergio Chiamparino.

L’accelerazione, senza strappi nè eccessi referendari, verso un’ulteriore autonomia della Regione, il guardare con più attenzione a una proposta che potrebbe passare per un fronte civico per provare a conservare la guida del Piemonte, confermano come quei dati del sondaggio possono essere interpretati e soprattutto tenuti in considerazione, calandosi forse con addirittura maggior forza proprio in una regione del Nord dove il voto perso dal Pd non è certamente andato sempre al M5s, anzi. Basta voler vedere. Gli occhiali giusti correggono, oltre che la miopia, anche lo strabismo.

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