VERSO IL VOTO

"Non possiamo ridurci a Forza Lega"

A Roma come in Piemonte nelle retrovie berlusconiane cresce l'irritazione verso l'atteggiamento sprezzante di Salvini e dei suoi uomini. "Questi ci schifano e noi li rincorriamo?". La tentazione di uno scatto d'orgoglio e i prosaici calcoli elettorali

La pecorella smarrita tornerà all’ovile del centrodestra. Pur sorvolando sull’immagine che assai poco si attaglia a Matteo Salvini, quello di Silvio Berlusconi più che un convincimento cui neppure lui forse crede è un sogno che scompare come il presepio dopo l’Epifania. Con la differenza che non ricomparirà né fra un anno, né mai. A dirlo chiaro e tondo, smentendo quel che invece il Cav prova ancora a spiegare tra il montante scetticismo di una fetta dei suoi, è stato proprio il leader della Lega: il centrodestra come lo ha vissuto Silvio e come continua a riproporlo è finito. Per sempre.

Silente dalla vigilia di Natale, dopo il video per gli auguri il Cav ha preferito trascorrere le festività in famiglia e rimanere distante dalla politica. Ed è toccato al numero due, Antonio Tajani ribadire la tesi nella riunione con i gruppi parlamentari azzurri: “La Lega pagherà presto le conseguenze di questa manovra economica, quindi bisogna solo aspettare". E sul Capitano l’indicazione è quella di tenere una posizione né troppo dura né troppo tenera, possibilmente "ignorarlo". Come fosse facile. Già perché la sensazione sempre più diffusa, pur inconfessabile, tra parlamentari e gruppo dirigente forzista è quella che ad essere ignorati sarebbero proprio loro, da Matteo. Il quale, sempre nella visione a dir poco ottimistica, di Berlusconi e Tajani, avrà il suo banco di prova nelle prossime regionali dove, a detta loro, potrebbe pagare le scelte assistenzialistiche di marca pentastellata e altre misure contenute nella manovra.

In realtà, anche in questo caso, la faccenda sembra dover essere letta in maniera assai diversa, addirittura speculare. Segnali di forte preoccupazione per il rischio di finire consegnati, mani e piedi, al Carroccio salviniano si colgono laddove, come in Piemonte, l’appuntamento con le urne si avvicina e allo scorrere dei giorni non corrisponde certamente una chiarezza da parte della Lega che, quindi, accresce i timori se non in tutti certamente in una parte consistente dei maggiorenti di Forza Italia. “Questi ormai palesemente ci schifano – si sfoga un parlamentare piemontese di lungo corso – e noi non possiamo continuare a corrergli dietro”. Insomma, oltre a uno scatto d’orgoglio “serve un piano, una strategia che non ci faccia uscire dall’angolo”.

Tenere nettamente disgiunti gli attacchi, in sé anche rivitalizzanti per il partito di Silvio, al Governo, i gilet azzurri contro la manovra e altri atteggiamenti tipici di un’opposizione, da quella che i forzisti un po’ convinti un po’ meno continuano a descrivere come una coalizione con cui andare a prendersi il Piemonte è impresa sempre più difficile. Ancor di più visto l’atteggiamento sempre più padronale di Salvini rispetto all’alleato storico e che forse davvero ormai appartiene solo più alla storia.

Pochi problemi per quei forzisti da sempre molto vicini alla Lega e che mano a mano che quest’ultima è salita nel consenso hanno abbreviato la distanza. Molti di più, i problemi, per quell’area liberale e moderata che cerca di far di tutto per evitare una resa senza condizioni da firmare non già davanti al nemico, ma all’alleato.

Di fronte a quell’8 Settembre, prodromico a uno sbandamento con tutti a casa, più di uno e più di due maggiorenti azzurri piemontesi, nel confessionale che spesso accompagna momenti come questi, ammettono di pensare se davvero è quella del finire tutti alla corte di Salvini l’unica soluzione e, soprattutto, se sia conveniente. Questo non deve indurre a correre in avanti immaginando scissioni o colpi di testa, peraltro non certo frequenti, in Forza Italia. Però che il ragionamento lo si faccia, guardando alla prossima primavera, non è una supposizione.

Molto dipenderà da come e quando si definirà la questione della candidatura a presidente, ruolo per il quale da Palazzo Grazioli è stato fatto ripetutamente il nome di Alberto Cirio, peraltro assai gradito alla Lega essendo nel movimento allora di Umberto Bossi le origini politiche del parlamentare europeo e nella vicinanza con Giovanni Toti, il più leghista dei forzisti, uno dei suoi punti di forza. Di forza per gli azzurri o, ancora una volta, per la Lega? Per quest’ultima il segretario regionale, nonché capogruppo alla Camera Riccardo Molinari, in tempi assai meno tesi di questi aveva già avvertito di rivendicare gli assessorati più importanti. Figurarsi da oggi in poi.

Tornando al ragionamento che alcuni azzurri fanno, tra ipotesi e piani di emergenza, non può che essere contemplato anche quello di andare da soli. Marcare un’autonomia e un’indipendenza dall’azionista di maggioranza, banalmente, per sopravvivere politicamente. Se poi si aggiunge che nel fronte opposto Sergio Chiamparino indica con sempre maggiore forza la strada civica riassunta nell’efficace formula “Sì al Piemonte del Sì”, aumenta la diffidenza nel farsi guidare da una Lega sovranista e nazionalista. E anche quei messaggi che, come abbiamo scritto nei giorni scorsi, viaggiano attraverso ambasciatori riservatissimi dell’attuale governatore verso figure di Forza Italia per nulla propense a finire leghiste contribuiscono ad aggiungere tratti a un quadro traballante, dove non manca chi guarda ancora con una certa diffidenza l'atteggiamento morbido del vicepremier rispetto ai grillini proprio sulla Torino-Lione. E dove c’è un’area di elettorato moderato per nulla attratta dai claim salviniani e che non digerisce affatto l’alleanza di governo con i Cinquestelle.

Anche in questo caso, però, potrebbero dover fare i conti con un rapido e letale scavalcamento del Capitano. Magari pronto a mettere in campo formazioni civiche, disconoscendone ovviamente la paternità, e mettere ancora più nell’angolo l’alleato. Al quale continua a riconfermare lealtà, con la penna pronta in tasca. Per firmare la resa, senza condizioni.