VERSO IL VOTO

Forza Italia cotta a puntino, Lega pronta a papparsela

Sondaggi drammatici per gli azzurri in Piemonte, quotati attorno al 5%. Gli uomini di Salvini si preparano a rivendicare la candidatura alla presidenza della Regione. Cirio sempre più sulla graticola, mentre si assottiglia il distacco dal centrosinistra

“Non chiedete cosa può fare il vostro Presidente per voi, ma cosa voi potete fare per il vostro Presidente”. Sestino Giacomoni, coordinatore dei coordinatori azzurri e figura tra le più vicine a Silvio Berlusconi piega la celebre frase di Kennedy per galvanizzare colonnelli azzurri. Quelli piemontesi, però, si chiedono altro e con ben altro spirito: “Cosa farà la Lega? Tu lo sai?”. Ecco nella domanda come risposta ad un’altra domanda, che il parlamentare piemontese rifinisce con un lungo sospiro poco dopo l’incontro di deputati e senatori azzurri con Silvio Berlusconi, c’è tutto: l’incognita e la preoccupazione per come potrà finire la vicenda della candidatura alla presidenza della Regione.

Chi si aspettava un segnale, anche in codice, da parte del leader di Forza Italia in quel consesso di parlamentari dove si parla delle elezioni europee, ma anche delle regionali di domenica in Sardegna, non solo è rimasto deluso, ma ha visto crescere i timori. Se il Presidente (con la maiuscola come non scordano mai di scrivere gli azzurri) non dice neppure una mezza parola sul Piemonte, allora vuol dire che la situazione è ancora più complicata e delicata di quanto qualcuno pensi: questo il ragionamento che circolava ieri in un assurdo contrasto con le ormai ridondanti dichiarazioni tranquillizzanti e la trita sicumera incarnata dal coordinatore regionale Paolo Zangrillo, il fratello del medico personale del Cav imposto sulla tolda di comando dello zatterone azzurro.

I fatti sono lì, davanti a tutti: è passata una settimana dalla richiesta di archiviazione avanzata dal pm per Alberto Cirio, ma l’investitura annunciata da mesi dell’europarlamentare di Forza Italia ancora non s’è vista, non una parola da Palazzo Grazioli e soprattutto non una da via Bellerio, come si diceva una volta per indicare il quartier generale della Lega.

“Chi ci dice che alla fine Salvini non ci tiri il pacco?” diceva ieri un’altra voce forzista piemontese a Montecitorio, a dire il vero usando un linguaggio assai più hard. Sentirsi come salamelle sulla griglia pronti a finire nell’ennesimo selfie mangereccio di Matteo: passano i giorni e il barbecue del Capitano arrostisce gli azzurri cui tocca spesso dire che si stanno abbronzando. Peraltro, difficile alzare più di tanto la testa con l’azionista di maggioranza che ha già fatto capire in più di un’occasione di non fare un dramma nel caso dovesse fare a meno di Forza Italia.

Il barbecue resta acceso e i leghisti mettono mano al sale: con discrezione, ma anche con metodo dalla Lega escono e girano numeri che descrivono il partito di Berlusconi in Piemonte su una percentuale terrificante: vero o non vero la danno attorno al 5%, quasi dieci punti in meno di quanto il partito guidato a livello regionale da Gilberto Pichetto portò a casa alle politiche dello scorso anno. E se si tiene conto che allora la Lega oscillava tra il 21,4% al 26,8% e oggi sul piano nazionale sta al di sopra del 35% la débâcle azzurra sarebbe ancora più pesante.

Tattica per logorare i nervi, già abbastanza provati dall’attesa della decisione sulla candidatura, o strategia per preparare al colpo basso temuto oggi più di ieri sul competitor di Sergio Chiamparino? Se così fosse, potrebbe spiegarsi anche un altro dato che circola in questi giorni: una riduzione a “solo” 9 punti il distacco tra lo stesso Chiamparino e l’ipotetico candidato del centrodestra. Numeri che fanno comodo al centrosinistra per cercare sollevare un morale prossimo ai tacchi, ma anche alla Lega per supportare la tesi di una candidatura forte e senza alcun rischio per evitare che quei nove punti possano ridursi fino ad annullarsi verso le elezioni di maggio.

“Posso sbagliarmi, ma fino alla fine di marzo non si muove niente. Pare vogliano aspettare il gup” dice un inquilino di Palazzo Madama che non ha perso le speranze di vedere Cirio competere contro il Chiampa, ma allo stesso modo non rinuncia alla concretezza e sposta all’ulteriore passaggio giudiziario indispensabile all’europarlamentare per superare (in caso il giudice concordi la tesi del pm) quello nelle stanze leghiste di Palazzo Chigi qualche giorno fa è stato paventato come il “rischio trappolone”, ovvero l’imputazione coatta che potrebbe piombare in piena competizione elettorale.

In quelle stesse stanze continua a circolare il nome di Paolo Damilano. L’imprenditore delle acque minerali e dei vini di pregio sembra essere sempre di più “il candidato della Lega”, come ammettono a denti stretti anche alcuni degli stessi berluscones sempre meno certi del rispetto da parte di Matteo Salvini di quel patto che attribuiva a Forza Italia la candidatura a presidente per il Piemonte.

I contatti con Damilano ci sono stati e, come trapela dagli ambienti parlamentari, ci saranno ancora, a conferma di come i timori dissimulati malamente tra i forzisti piemontesi siano più che giustificati. Certo non possono neppure contare sull’aiuto “fraterno” di Guido Crosetto.

Il parlamentare cuneese non rinuncia a sfidare apertamente la leadership del Cav: “Mi auguro che anche le elezioni regionali sarde lancino un messaggio a Berlusconi, affinché capisca che è inutile cercare di difendere una riserva indiana che si riduce – ha detto l’ex sottosegretario alla Difesa – sempre più e che è invece ora di rendere più grande il suo vecchio progetto caricandolo sulle spalle di Giorgia Meloni". E se la riserva, dice Crosetto, si riduce, in Piemonte gli azzurri rischiano di fare la fine dei dieci piccoli indiani.

“Ve ne daremo solo uno” diceva l’altro giorno Riccardo Molinari parlando dei dieci posti nel listino con Zangrillo che l’ha presa come una battuta. Invece era l’ennesimo segnale di come tante cose siano cambiate da quel patto. E non sia ancora finita.

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