GIALLOVERDE

Buio pesto sulla Tav

Notte insonne e inconcludente a Palazzo Chigi. Dopo cinque ore di vertice ancora nessuna decisione se non quella di prendere ulteriore tempo. Lega e M5s ai ferri corti. Si attende una valutazione giuridica sui bandi Telt

Il Governo si è infilato in un tunnel da cui fatica a uscire: i due azionisti dell’esecutivo si sono spinti troppo in là, arroccandosi sulle proprie posizioni e ora, quello che fino a qualche giorno fa sembrava a portata di mano, ovvero una soluzione che salvasse la faccia di entrambi di fronte ai rispettivi elettorati, pare farsi assai ardua. Non sono bastate cinque ore di vertice a Palazzo Chigi: sulla Tav è stallo, non c’è ancora una mediazione tra M5s e Lega. Il governo sembra prendere tempo: l’idea è chiedere - riferiscono fonti di maggioranza - un approfondimento giuridico sui bandi di Telt e un confronto alla Francia, con possibile vertice bilaterale, sui criteri di finanziamento dell’opera. Ma Luigi Di Maio e Matteo Salvini lasciano Palazzo Chigi scuri in volto: la crisi di governo viene evocata da entrambi i partiti, come esito estremo dell’irrigidirsi delle posizioni. Giuseppe Conte, che ha promesso una decisione entro venerdì, per ora non parla. Anche se a vertice in corso fonti vicine al premier professano ottimismo: “ci riuscirà, porterà a casa una soluzione” che ad ora sembra lontanissima.

A Palazzo Chigi hanno avuto luogo due riunioni: nella prima è stata affronta la parte tecnica del dossier e ha visto la presenza, oltre che di Conte, dei vice, e del ministro Danilo Toninelli, di due squadre di “prof” portate nella sede del governo sia dal M5s che dalla Lega. Tra gli undici i grillini hanno voluto due membri della commissione che ha bocciato l’opera con l’analisi costi-benefici: Paolo Beria, docente del Politecnico di Milano e Francesco Ramella, ingegnere del Politecnico di Torino. La Lega ha risposto con una sua squadra in cui figura Pierluigi Coppola, l’unico di quella commissione a non firmare le conclusioni volute dal professor Marco Ponti. Con lui Alberto Petroni, docente presso il dipartimento di Ingegneria e Architettura di Parma; Carlo Vaghi, ex assessore leghista di Bollate, docente di economia della Bocconi, e militante del Carroccio dagli anni Novanta; Gino Ferretti, rettore dell’università di Parma dal 2000 al 2013; Francesco Parola, docente di economia e gestione delle imprese a Genova.

Dopo oltre tre ore i tecnici hanno lasciato Palazzo Chigi. Le bocche sono cucite ma il confronto, a quanto si sottolinea, sarebbe stato costruttivo. Poi, però, il vertice è entrato nella sua fase più delicata, quella politica. Insieme a Conte, Di Maio, Salvini, Toninelli ci sono i due sottosegretari al Mit leghisti Armando Siri e Edoardo Rixi, il capogruppo M5s al Senato Stefano Patuanelli e il presidente della commissione Trasporti a Palazzo Madama Mauro Coltorti. Al conclave è arrivata la notizia, comunicata da Salvini, che la Commissione Europea sarebbe in procinto di spedire al Governo italiano una lettera, firmata dal vicepresidente Jyrki Katainen, che annuncia come il no di Roma alla Torino-Lione violerebbe due regolamenti e provocherebbe l’obbligo di restituire a Bruxelles la non disprezzabile cifra di 813 milioni di euro, dei quali 500 già erogati.

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Sulla fase più politica, a fine vertice, calerà un inusuale silenzio. I comunicatori interrompono i contatti. I vicepremier vanno via senza parlare. Non si ha ad ora notizia neanche di un aggiornamento del vertice, anche se alle 19.30 è convocato un Consiglio dei ministri, che potrebbe essere una nuova sede di confronto. Le posizioni restano quelle diametralmente opposte registrate prima della riunione. La Lega vuole un Sì senza più rinvii, anche a costo di chiamare i cittadini piemontesi a pronunciarsi con un referendum o di far decidere a un voto del Parlamento. Il M5s ha reso quella per il No la “battaglia della vita”. Fughe in avanti, avvertono dall’una e dall’altra parte, rischiano di far cadere il governo.

Dal Piemonte alle Aule parlamentari la truppa grillina è in ebollizione. Da Torino viene spedita a Conte, da un fronte No Tav guidato dal sindaco di Venaus, la proposta di rifare il traforo ferroviario del Frejus, con una nuova galleria di 15 km, al posto del maxi-tunnel da 57,5 km previsto nel progetto attuale. Idea bocciata senza appello dal presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino, secondo cui si tratta di “una carnevalata”.

È quello che in sostanza chiede il M5s: partano i bandi, ma intanto si riscriva tutto il progetto mettendo da parte il corridoio centrale della Tav e rafforzando il Frejus. Ma alla Lega non va bene, perché un conto è rivedere il altro è stralciare l’opera. I leghisti sono convinti che il Sì di Conte all’avvio dei bandi sarà dettato dai fatti, un Sì “tecnico”. Ma poi su come andare avanti, il copione è da scrivere: c’è chi è ancora convinto che si possa spostare più in là la scelta finale, ma a inizio vertice il M5s pretende che - mentre partono i bandi - si metta per iscritto lo stop al progetto, la Lega non ci sta. Sullo sfondo aleggia la consapevolezza che Di Maio non riesca a uscire dal labirinto e che una scelta che non sia quella di bloccare l’opera possa far implodere i gruppi parlamentari e dunque il governo. Ecco perché la Lega, che vorrebbe un proprio candidato alle regionali in Piemonte di maggio e non può dare l’idea di “tradire” gli elettori del Nord con un No, propone come soluzione estrema l’idea di “sollevare” il governo, lasciando che a pronunciarsi in ultima istanza sia il Parlamento con un voto: il No del M5s perderebbe perché il Sì viene sostenuto anche da Forza Italia e Pd, ma l’esecutivo potrebbe reggere.

Insomma, la prima nottata di riunioni a oltranza fa registrare uno stallo che sembra tradursi in un supplemento di analisi: si chiederà alla Francia un confronto sui criteri di finanziamenti all’opera, spiegano ufficiosamente fonti della maggioranza. E, sui bandi, al momento non ci sarebbe alcuna decisione: “aspettiamo le valutazioni giuridiche”, viene spiegato. Ma lunedì 11 marzo il cda di Telt dovrà dare il via libera ai bandi. In gioco, ricorda la commissione Ue, ci sono 800 milioni di euro che, in caso di mancato avvio delle gare, l’Italia potrebbe perdere.

“Stasera il forse non c’è. La Tav costa più non farla che farla. Il treno è più sicuro, costa meno e inquina meno, su questo non c’è nessuno che mi possa far cambiare idea”. aveva dichiarato Salvini varcando il portone del palazzo del governo: un ottimismo scomparso poche ore dopo.

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