BERLUSCONEIDE

Forza Italia in coma (irreversibile)

Al capezzale di un partito moribondo si consuma la lotta per la sopravvivenza di un ceto politico ormai in disarmo. Toti allunga le sue trame arancioni anche in Piemonte alle spalle del commissario liquidatore, il refuso azzurro. L'enigma Cirio

Osa l’inevitabile, quanta involontaria, evocazione di monsieur De Lapalisse, Piero Fassino quando dice, come ha detto ieri a Torino alla presentazione del libro di Fabrizio Cicchitto sui 25 anni di Forza Italia, che “il centrodestra italiano in corso di riorganizzazione con l'asse Salvini-Meloni guarda oltre Berlusconi e Forza Italia”. Quel che sostiene l’ex sindaco di Torino, oggi nuovamente parlamentare, è sotto gli occhi di tutti e, ormai, da un po’ di tempo. Lo attestano i risultati delle ultime consultazioni elettorali, lo conferma ulteriormente la palese debolezza del partito del Cav che emerge in questi giorni anche nei rapporti con il Carroccio al tavolo per le regionali piemontesi.

Un quarto di secolo, quello che si festeggia con lo stesso spirito che accompagna il 2 novembre, cui il partito di plastica (come lo chiamavano i detrattori nel lungo periodo di successi) arriva come un vecchio e sbrecciato secchiello di moplen dalle cui falle escono copiosi getti di voti, diretti altrove: sia verso la Lega del Capitano, sia verso il partito in crescita costante e notevole di Giorgia Meloni. Lo stesso baluardo azzurro che in Piemonte ha il nome e il volto di Alberto Cirio – europarlamentare forzista candidato governatore in nome di un patto antico tra alleati, ma sottoposto a nuove regole del Cencelli ad uso e consumo leghista – potrebbe risultare meno efficace nel trattenere e riconquistare voti al suo partito, rispetto agli auspici. E non certo per responsabilità o manchevolezze dell’avversario di Sergio Chiamparino.

La crisi del partito di Silvio arriva da lontano e quella diaspora che si prefigura in crescita tra la dirigenza azzurra, è stata nei fatti anticipata dagli stessi elettori. In Piemonte come e talvolta più che altrove. E forse, aldilà dell’attrazione data dalla simbologia produttiva, non è un caso che uno dei bacini in cui stanno confluendo elettori e notabili azzurri abbia scelto Torino per la sua conferenza programmatica. In vista delle europee certo, ma con un occhio anche alle amministrative per dare un nuovo governo al Piemonte. “Ci saremo noi e la Lega” ha preconizzato Giorgia Meloni dal palco del Lingotto traguardando a dopo il 26 maggio, alla fine dell’attuale governo pentaleghista. E lo ha detto, senza mai citare Berlusconi, neppure per sbaglio, neppure per diciamo cortesia.  

“Il vostro manifesto corrisponde al mio mondo” ha detto, rivolgendosi ai Fratelli, Giovanni Toti. Il governatore della Liguria in un’intervista al quotidiano genovese spiegherà poi che alle europee voterà Berlusconi “non solo per il personale affetto che provo nei suoi confronti, ma perché ritengo che dopo ciò che ha passato ingiustamente, sia una sua aspirazione legittima tornare in un’assemblea elettiva”, ma ormai l’ex consigliere politico del Cav è già oltre Forza Italia. Lo seguiranno in molti. Anche in Piemonte, dove uno degli azzurri più legati, anzi il più vicino da tempo e in assoluto, è proprio Cirio. Il candidato governatore ha escluso un suo abbandono del partito. Lo stesso non potrà dirsi di molti dei non molti elettori di Forza Italia rimasti. I sondaggi indicano un costante flusso verso FdI e anche verso la Lega, due direzioni che non soddisfano tuttavia quella parte di berluscones ormai da anni orfani della mancata rivoluzione liberale i quali, tuttavia, oggi non hanno neppure più il PdR, il partito di Renzi, cui guardare, finendo probabilmente per rimpolpare l’area dell’astensione, almeno alle europee in attesa che dopo nasca qualcosa.

Migrati e migranti gli elettori, la questione di Forza Italia si va riducendo a quella del suo notabilato, degli eletti e degli amministratori che ancora stanno in un partito guidato a livello regionale da un coordinatore, Paolo Zangrillo, che in documenti ufficiali è definito commissario, suggerendo la qualifica di liquidatore. Il refuso politico, come alcuni dei suoi lo hanno perfidamente definito dopo lo svarione di un quotidiano torinese che sbagliò il nome in Zangrullo, è l’erede indiretto di ben tre suoi predecessori nessuno dei quali è ancora in Forza Italia: né Enzo Ghigo, né Roberto Rosso, tantomeno Guido Crosetto. Di Alberto Scippa, uomo macchina degli albori, quando il partito non aveva ancora nemmeno una sede, si sono perse le tracce da tempo. E anche questo qualcosa vorrà pur dire. Così come l’assenza alla celebrazione torinese del quarto di secolo del partito di tutti coloro che c’erano quando nacque: al posto di Ghigo, di Angelo Burzi, di Edro Colombini e di Furio Gubetti, solo per citarne alcuni, il genetliaco è stato affidato al ricordo di chi arrivò dopo, qualcuno da pochissimo, lanciato col paracadute. Si è sottratto dal confronto, il fratello del medico personale del Cav, cui potrebbe toccare la sorte dell’ultimo che chiude la porta, definitivamente. Non si è vista la mole del gigante di Marene, tra i protagonisti della transumanza azzurra verso i lidi della fiamma meloniana. Entrambi impegnati altrove hanno dato forfait, lasciando praticamente al solo Daniele Cantore, la rievocazione del bel tempo che fu. Ma anche l’ex consigliere regionale, a lungo capogruppo azzurro in Sala Rossa, non è più iscritto.

Quanto la crisi inarrestabile di Forza Italia potrà incidere sugli equilibri dell’ipotetico governo di centrodestra del Piemonte, già ampiamente sbilanciati a favore di un Carroccio egemone, lo si vedrà al momento della formazione della giunta, ma già lo anticipa la linea dura della Lega nel rivendicare a sé quasi tutto il listino del presidente.

Quanto quello del partito di Berlusconi, con il suo leader in un silenzio che si protrae ormai da giorni, possa essere ancora un brand su cui puntare per cercare di sfuggire l’inevitabile immagine di una fortezza Bastiani lo si percepisce anche da piccoli particolari. Quasi microscopici. Come il simbolo di Forza Italia pressoché nascosto nel manifesto in cui la deputata Daniela Ruffino sostiene il candidato sindaco del suo comune (e dell’altro parlamentare azzurro, Osvaldo Napoli), Giaveno. Lì il centrodestra si è spaccato e i berluscones corrono praticamente in solitaria. Con il nome di Silvio che quasi non si legge più. Come un’anticipazione in miniatura.   

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