Voto disgiunto, una farsa

Qua e là si leggono riflessioni politiche e giornalistiche alquanto strampalate e del tutto prive di senso. Ovvero, il voto nel Piemonte il prossimo 26 maggio sarà deciso anche e soprattutto dal cosiddetto “voto disgiunto”. E cioè, per capirci, il cittadino elettore vota il suo partito e poi sbarra il candidato a presidente di un altro schieramento. Un’operazione del tutto legittima e percorribile ma praticata storicamente da un numero ridottissimo e circoscritto di elettori. Stupisce, al riguardo, che ci siano commentatori ed opinionisti che indicano proprio nel “voto disgiunto” la strada che deciderà il risultato finale nella competizione politica piemontese.

Intendiamoci: c'è sempre la prima volta e forse il 26 maggio anche il Piemonte sperimenterà questa pratica. Mi pare difficile, ma tutto è possibile. Del resto, la mia stessa esperienza parlamentare inizia vincendo per ben due volte un collegio della Camera – quello di Pinerolo – solo grazie al cosiddetto “voto disgiunto”. Ovvero elettori che votavano un partito di centrodestra nella quota proporzionale e poi sceglievano il sottoscritto come candidato dell’Ulivo di quel collegio nella quota maggioritaria. Era in vigore, però, il sistema elettorale del “mattarellum”. Grazie a quel voto disgiunto fui eletto ma la differenza totale si aggirava attorno al 3-4% dei voti. Non di più.

Ora, per fermarsi però al voto regionale che è disciplinato da un altro sistema elettorale, non possiamo non prendere atto che la differenza tra il voto ad un partito e quello ad un candidato a presidente alternativo a quel partito, non supera il 2% del totale dei votanti. Così è stato in Abruzzo con Legnini e la sua coalizione di centrosinistra e così stato soprattutto in Sardegna. Dove un apprezzatissimo e gettonatissimo Zedda, giovane sindaco di Cagliari ed esponente politico molto apprezzato oltre al suo stesso campo politico, non è andato oltre il 2% in più come valore aggiunto personale rispetto ai partiti che lo appoggiavano.

Questo ci porta a concludere questa rapida riflessione con due osservazioni di fondo. Innanzitutto il “voto disgiunto” è praticato da un ristretto numero di elettori. Molto delimitato e molto circoscritto. La stragrande maggioranza degli elettori sceglie il suo partito e si ferma lì. Al massimo, esprime un voto di preferenza per un candidato del suo partito.

In secondo luogo la discussione su alcuni media attorno al “voto disgiunto”, ci conferma la distanza siderale tra ciò che si scrive sui giornali e a volte si dice in molti talk televisivi e ciò che concretamente vive e pratica la pubblica opinione. Una conferma della distanza, purtroppo, tra il tradizionale e cosiddetto “Paese reale” e il “Paese legale”. È bene averlo ben presente quando si blatera allegramente, fra gli addetti ai lavori, del “voto disgiunto” come elemento decisivo che può determinare il risultato di una consultazione elettorale. A cominciare anche e soprattutto dal Piemonte.

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